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PROGETTO
“VOCI, VOLTI E MEMORIE. TESTIMONI DEL COMASCO
TRA IL 1943 E IL DOPOGUERRA”
ANNO 2011

Fondazione Provinciale
della Comunità Comasca
Assessorato Famiglia e
Politiche Educative
Comune di
Senna Comasco
Comune di
Mariano Comense
Anpi provinciale
di Como
Coop Casa
Como
Cgil Como
Cisl Como

 

Il progetto “Voci, volti memorie. Testimoni comaschi fra il 1943 e il dopoguerra”, realizzato nel 2011, ha comportato la raccolta di 20 videotestimonianze in ordine ai temi: Resistenza, occupazione tedesca, Rsi, deportazione, espatri in Svizzera, bombardamenti e sfollamenti, vita civile.

Sequenze significative delle interviste sono pubblicate sui siti:
schiavidihitler.it e isc-como.org

Il progetto ha usufruito di contributi della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, di enti e di privati.

Ideazione e realizzazione di Valter Merazzi

Le interviste sono state raccolte da Valter Merazzi e Maura Sala, in collaborazione con Daniele Corbetta (De Ferdinando, Bizzozzero),Gerardo Caldera (Balzarotti).

Riprese di Massimo Rossi, Valter Merazzi, Francesco Merazzi Editing video: Francesco Merazzi Pubblicazione informatica: Federica De Luca, Flavio Frascarelli Segreteria organizzativa a cura di Maura Sala.

 

Video intervista a don Pietro Arrigoni
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Video intervista a Lidia Antolini Baldrati
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Video intervista a Mario Balzarotti
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Video intervista a Andrea Bizzozzero
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Video intervista a Angelo Borghi
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Video intervista a Valter Bottoni
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Video intervista a Rita Piffaretti Canizzaro
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Video intervista a Paolina Castelletti
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Video intervista a Renato Cattaneo
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Video intervista a Alessandro Colombo
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Video intervista a Franco De Ferdinando
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Video intervista a Luciano Forni
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Video intervista a Erminio Frigerio
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Video intervista a Giacomo Galimberti
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Video intervista a Giovanni Gandola
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Video intervista a Luigi Gandola
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Video intervista a Graziella Lupo
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Video intervista a Erminio Nava
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Video intervista a Agostino Pessina
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Video intervista a Renzo Pigni
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Video Interviste
Progetto 2003

www.schiavidihitler.it

Lidia Antolini Baldrati

Nasce a Erba il 20 giugno 1926 ultima figlia dopo due sorelle maggiori. Il padre ha un negozio di ferramenta a Erba e nella seconda metà degli anni Trenta si trasferisce con la famiglia, di convinta fede fascista a Como.
Lidia cresce nel clima educativo del fascismo, negli entusiasmi giovanili sostenuti da insegnanti convinti sostenitori del regime, nel clima di consenso e di acquiescenza che domina nel Paese. Con la guerra Lidia è un’attiva “giovane italiana” e frequenta l’università a Milano duramente bombardata, inseguendo la laurea in medicina.
Vive l’armistizio come un tradimento degli ideali ed ai primi di settembre, quando viene aperta la sede del fascio repubblicano è tra le prime ad iscriversi.
Lidia con una delle sorelle vive l’atmosfera crepuscolare del fascismo repubblicano e partecipa al gruppo “onore e combattimento”, un nome roboante per un gruppetto di poche ragazze e qualche maschio che si occupa di assistenza civile.
Lidia si reca in federazione il 27 aprile del 1945. La sede è semideserta, è presente solo Pino Romualdi, vicesegretario del partito fascista repubblicano. Nell’uscire Lidia incontra i partigiani che giungono ad occupare la sede. Lidia non è fatta oggetto di episodi di rivalsa per le sue scelte. Subisce due arresti, ma è presto liberata.
Nell’immediato si occupa dell’assistenza ai prigionieri fascisti. Interrompe gli studi, ma non abbandona la passione politica, che la porta ad essere fra le fondatrici del Movimento Sociale a Como.

Testimonianza raccolta il 15 novembre 2011 da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

don Pietro Arrigoni

Nasce l’8 dicembre 1914 a Vedeseta (Bergamo) in un’umile famiglia, quarto di otto figli di un padre taglialegna e contadino, costretto a cercare lavoro a Milano e di una madre dal forte spirito religioso e antifascista. Pietro sente la vocazione ed a sedici anni entra in seminario a Como. Nel 1939 viene destinato come parroco a Morterone a 1.200 metri sui fianchi del Resegone, una sede che molti rifuggono. Don Pietro affronta con gioia la sua missione, condividendo la modesta vita della comunità della montagna con entusiasmo ed una perseveranza che lo porta ad aprire la prima scuola elementare del paese, negli anni della guerra. Dopo l’8 settembre del ’43, la zona è rifugio di sbandati che fuggono la deportazione e la leva fascista e don Pietro li accoglie in casa, aiutato dalla sorella, nonostante i rastrellamenti che spazzano il territorio fra il lecchese e la bergamasca, dove l’attività partigiana è intensa.
A Morterone giungono nel corso del 1944 due agenti americani paracadutati in Valsassina, che iniziano una collaborazione col parroco e organizzano un aviolancio. Il 13 aprile don Pietro è inviato in ricognizione a Como in previsione del bombardamento della caserma De Cristoforis, ma si oppone con vigore all’operazione giudicata troppo pericolosa per la città. La guerra ha segnato drammaticamente la sua famiglia: un fratello è disperso in Russia, un altro militare deportato muore in Germania. Nel dolore don Pietro non si perde di spirito e nel dopoguerra è l’artefice della costruzione della strada che strappa Morterone dal suo isolamento.

Testimonianza raccolta il 13 luglio 2011 a Caglio da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Massimo Rossi.

Mario Balzarotti

Nasce a Como il 05/10/1921. Il padre lavora come fuochista per la Società di Navigazione Lariana, la madre originaria di Bregnano, lavora nella tessitura di Eugenio Rosasco. La famiglia abita a Sant’Agostino, la “riva dei bruti”, il porto mercantile connesso alla stazione delle Ferrovie Nord, che negli anni quaranta è ancora lo snodo principale per la movimentazione delle derrate alimentari e del legname dei paesi della parte occidentale del Lario. Mario cresce nel quartiere dove ferve l’attività e a 14 anni inizia a lavorare alla Rosasco.
Chiamato alle armi nel 1941 è inviato in Sicilia in un reparto addetto alle trasmissioni.
A seguito dell’invasione dell’isola da parte degli alleati, attraversa lo stretto di Messina sotto i pesantissimi bombardamenti e raggiunge dopo un lungo peregrinare Casale Monferrato e poi Verona, dove l’8 settembre è sorpreso dall’annuncio dell’armistizio.
Raggiunge Como in abiti civili e si rifugia in Svizzera, dove viene internato nei cantoni tedeschi. Durante la prigionia lavora ed ottiene il permesso di rientro nel giugno del 1945. Tornato a Como riprende la sua attività alla tessitura Rosasco, divenendo rappresentante sindacale.

Testimonianza raccolta il 21 giugno 2011 da Valter Merazzi, Maura Sala e Gerardo Caldera. Riprese di Valter Merazzi.

Andrea Bizzozzero

Nasce 17 maggio 1926 a Cabiate in una famiglia benestante. Il padre è direttore di banca e ha spirito antifascista. Andrea studia presso il collegio arcivescovile di Cantù, ma se ne allontana per dissidi con il rettore e si iscrive all’istituto Gonzaga, collegio milanese sfollato a Como in via Tommaso Grossi. Qui in contatto con giovani dell’Erbese, che animeranno la prima Resistenza, rafforza le sue convinzioni politiche entrando a far parte dopo l’8 settembre delle strutture clandestine del Partito Comunista. Una delle prime attività è quella di convincere i giovani a non presentarsi alla chiamata di leva e di favorirne la fuga. Lui stesso, temendo la chiamata, raggiunge la zona libera della Valsesia, dove si unisce per alcuni mesi alla formazione di Moscatelli. Abbandonata la Valsesia a seguito dell’offensiva nazifascista, cerca di raggiungere l’alto Lario per unirsi ai partigiani della 52° brigata Garibaldi, ma è arrestato a Bellano e condotto a Greco, destinato alla Germania.
Fugge e torna a casa, nascondendosi nei boschi con l’aiuto della famiglia. Stringe rapporti con Ugo Moglia e, pur mantenendo le sue convinzioni politiche, si unisce al gruppo della “Franchi” che opera azioni di disarmo nel territorio.
A seguito di una delazione il gruppo si scioglie e Andrea rimasto isolato si unisce al battaglione garibaldino Gap “Nannetti”, che opera in un territorio fortemente presidiato da reparti delle SS italiane, distribuiti fra Meda, Seregno, Mariano, Cantù, Alzate Brianza. Nei giorni dell’insurrezione, segnati dal tentativo delle Ss di raggiungere Como e da furiosi combattimenti a Mariano, Andrea guida l’occupazione del comune di Cabiate prende parte ai rastrellamenti e agli arresti di tedeschi e fascisti.
Fa parte del Cln e rappresenta il partito Comunista nell’amministrazione locale, partecipando con passione alle tensioni politiche che dividono il Movimento di Liberazione in una epoca di grandi speranze e di aspri contrasti, che si stabilizzerà solo dopo le elezioni del 1948.

Testimonianza raccolta il 4 ottobre 2011 a Cabiate da Daniele Corbetta e Valter Merazzi. Riprese Valter Merazzi

Angelo Borghi

Nasce a Senna Comasco il 10 maggio 1923 e cresce in una famiglia patriarcale contadina di 15 persone, che vive in una delle proprietà dei discendenti di Alessandro Volta. Il nonno e il padre conducono una fornace e non si occupano di politica. Angelo è il maggiore di tre fratelli ed una sorella, fa le scuole d’avviamento al lavoro e a 15 anni viene assunto presso un riparatore di radio a Como.
E’ chiamato alla leva nel gennaio del 1943 e arruolato nel genio. Nella primavera è impiegato con altri militari alla Fiat nella produzione di guerra.
Trasferito in Grecia alla centrale elettrica del Pireo è catturato dai tedeschi il 9 settembre del 1943 e deportato nello Stalag IA a Stablak, nella Prussia Orientale.
Dopo aver rifiutato l’arruolamento coi nazifascisti viene destinato ai lavori agricoli in una fattoria. Nell’autunno del ’44 è trasferito a Danzica e impiegato nella manutenzione dell’impianto telefonico della città assediata dall’Armata rossa.
Nel febbraio del ’45 segue con gli altri prigionieri il destino della popolazione tedesca che abbandona Danzica attraversando il mare ghiacciato in lunghe colonne, sotto l’infierire dell’aviazione alleata. Angelo con pochi compagni si ritrova nell’infuriare dei combattimenti, fino ad essere liberato dai russi che lo trasferiscono a Lodz. Il rientro in Italia avviene solo nell’ottobre del 1945 in treno attraverso il Brennero e Pescantina. Vive lo spaesamento del reduce che trova una situazione completamente nuova e per certi versi incomprensibile. Dopo una settimana riprende il suo lavoro di riparatore di radio. Nel dopoguerra mantiene vivi i rapporti con i compagni di prigionia

Testimonianza raccolta il 21 dicembre 2011 a Como da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Francesco e Valter Merazzi.

Valter Bottoni

Nasce il 15 agosto del 1920 a Porotto, sobborgo di Ferrara, in una famiglia di modeste condizioni, secondogenito con una sorella maggiore di 11 anni. Nel 1935, dopo la morte della madre, si trasferisce a Como con il padre, che apre una bottega di calzolaio in Borgo Vico. Valter trova lavoro come garzone in una officina meccanica e successivamente all’Oec di Monteolimpino, ditta elettromeccanica, che gli fa frequentare le scuole serali di elettrotecnica.
Nel 1941 è chiamato alle armi nel genio. Dopo Trani è inviato in Albania e in Montenegro in un reparto di batterie fotoelettriche.
Nell’estate del 1943 è richiamato in Italia. L’8 settembre è sorpreso a Terracina dall’armistizio. Con un compagno, ottenuti abiti civili dai contadini cerca di rientrare a casa in treno, ma viene fermato a Firenze dai tedeschi.
Deportato in Germania, dopo aver rifiutato l’arruolamento coi nazifascisti, è destinato al lavoro coatto in una raffineria nei pressi di Hannover, dove viene impiegato in una squadra di elettricisti alla manutenzione e alle riparazioni dopo i bombardamenti, che colpiscono più volte il complesso industriale. La fame perseguita i prigionieri quanto la guerra e non risparmia la popolazione civile tedesca, con cui Valter condivide il destino.
Nell’aprile del ’45 nel tracollo tedesco, Valter è liberato dalle truppe americane. Passa poi sotto gli inglesi, che trattano i prigionieri italiani con grande durezza, prima di rientrare in Italia nell’estate del 1945.
Dopo pochi giorni si ripresenta all’Oec, vorrebbe un posto di elettricista, ma viene messo a bucare lamiere. Si licenzia e si mette a lavorare col padre calzolaio, affrontando una vita di sacrifici che dura per l’intero periodo della ricostruzione.

Testimonianza raccolta il 18 novembre 2011 a Como da Valter Merazzi e Maura Sala. Riprese di Valter Merazzi.

Rita Piffaretti Canizzaro

Nasce il 28 marzo 1925 a Gaggino Faloppio, primogenita cui seguiranno tre fratelli. Il padre fa l’assicuratore e Rita, dopo le elementari, viene messa in collegio presso le suore Canossiane a Como, dove nel 1943 consegue il diploma magistrale. Nello stesso anno ottiene una supplenza a Ponna in Val d’Intelvi e fa la sua prima esperienza scolastica nel territorio montano ai confini con la Svizzera dove vivace è l’attività partigiana.
Nel successivo anno scolastico 1944-1945 ha una supplenza a Gaggino e inizia a lavorare vicino a casa. I bombardamenti arrossano il cielo verso Milano e la fame affligge anche la campagna comasca, alimentando il contrabbando di riso con la vicina Svizzera in cambio di sale, attività cui si dedicano in molti nelle zone di confine. La storia della comunità locale è una storia di sopravvivenza, di piccoli gesti quotidiani fino alla fine della guerra, annunciata dalle campane a festa. Rita nel dopoguerra prosegue la sua attività di maestra sensibile e paziente che rifiuta violenze e punizioni, dedicandosi in particolare alla cultura ed alle tradizioni locali, di cui è preziosa conservatrice.Il suo impegno per l’Unicef e l’attenzione verso l’infanzia più sfortunata sono proseguiti sino ai nostri giorni.

Testimonianza raccolta il 29 giugno 2011, a Gaggino Faloppio da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Paolina Castelletti

Nasce a Croce di Menaggio il 26 settembre del 1927, secondogenita con una sorella di poco maggiore. La madre è figlia di contadini, il padre lavora negli alberghi a Milano, ma nel ’43 a seguito dei bombardamenti torna sul Lario e riprende l’attività agricola.
Paolina fa le elementari a Croce e le scuole commerciali a Menaggio. Dal settembre del 1943 la cittadina lariana, punto nevralgico per il controllo del centro-alto lago e del confine con la Svizzera, viene fortemente presidiata.
Le Brigate Nere occupano una parte delle scuole e conducono una spietata attività antipartigiana. Appena dopo Croce, all’albergo Miravalle di Grandola, trovano alloggio la milizia confinaria ed un corpo di ausiliarie della decima Mas.
In zona sono presenti anche contingenti dell’aviazione repubblicana addetti all’osservazione antiaerea, reparti tedeschi e stazioni della guardia di finanza. Nonostante il rapporto di forze sfavorevoli, il tentativo di disarmo dell’albergo Miravalle compiuta dai partigiani della Tremezzina, scuote la comunità locale quanto il bombardamento dei battelli sul lago. Paolina vive questa realtà di paure e ristrettezze accanto ad una sorella maestra, fascista fanatica, un fidanzato che rifiuta la leva delle truppe di Mussolini e si nasconde protetto dalla famiglia fino al passaggio in Svizzera, il contrabbando endemico delle valli lariane. Nell’epilogo della guerra Paolina è testimone, come le comunità di Croce di Menaggio e di Grandola dell’arrivo di Mussolini all’albergo Miravalle, tappa di una fuga che si fermerà a Dongo. Nel dopoguerra, come molte delle donne del Menaggino trova lavoro presso la tessitura Mantero.

Testimonianza raccolta il 31 ottobre 2011 a Cassina Rizzardi da Valter Merazzi e Maura Sala. Riprese Valter Merazzi

Renato Cattaneo

Nasce il 16 dicembre 1923 a Rovellasca, figlio di un commerciante ambulante, con una sorella minore. Cresce dai nonni e in collegio a Saronno e Biella. La famiglia esprime consenso verso il fascismo e Renato partecipa attivamente ai riti giovanili del regime a Rovellasca. Si iscrive a Milano all’Istituto Feltrinelli per prendere il diploma di perito industriale, lavorando come meccanico il pomeriggio e iniziando anche a farsi conoscere come calciatore, fino ad essere tesserato dal calcio Como.
Terminati gli studi è assunto in una ditta di Saronno. Alla visita di leva fa domanda per l’aviazione, ed è ancora in attesa di chiamata nei giorni dell’armistizio. Ai primi del ’44 viene arruolato in un reparto dell’aviazione repubblicana e destinato a Mondovì.
Si presenta malvolentieri e solo per paura di una rivalsa sui genitori.
Presto fugge dal reparto, rifugiandosi presso un gruppo partigiano del Cuneese. Dopo pochi giorni decide di tornare a casa, ma è arrestato a Casale Monferrato.
Trasferito a Torino, viene poi deportato a Innsbruck ed a Vienna, per finire infine a Lipsia, al lavoro forzato in una fabbrica di carri armati, dove viene impiegato come disegnatore meccanico. Vive la fame e la disperazione del lager, la violenza dei bombardamenti alleati. Fugge dalla prigionia prima dell’arrivo dei russi, attraversando l’Elba e consegnandosi agli americani.
Al rientro riprende la sua attività lavorativa a Saronno, ma è chiamato dal calcio Como che cerca di riorganizzare la società dopo la guerra. All’esordio in campionato segna tre goals. Per un anno lavora e per allenarsi ha bisogno dei permessi della fabbrica, ma a fine stagione viene venduto alla Cremonese e per proseguire la carriera calcistica si licenzia. Gioca nel Vicenza, nella Lucchese, per tornare al Como nelle due stagioni, dal 1950 al 1952, in cui è in serie A. Finisce la sua carriera a Catania giocando con Bearzot. Ha avuto come compagni fra gli altri Valcareggi e Monzeglio.

Testimonianza raccolta il 25 marzo 2011 a Rovellasca da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Alessandro Colombo

Nasce a Mariano il 6 novembre 1931 in una famiglia di commercianti all’ingrosso ed al dettaglio di frutta e verdura, trasferitasi a Como negli anni Venti.
Alessandro frequenta le scuole in città e abita in piazza Roma, dove i suoi hanno il negozio, ai margini della “Cortesella”, le cui macerie riempiono le piazze dopo lo sventramento dell’antico quartiere del centro storico prospiciente il lago. Commercianti, professionisti, imprenditori, impiegati e operai della “Comense” popolano questo spicchio di città, dove Alessandro vive, portando il suo aiuto all’impresa famigliare.
I razionamenti e la tessera alimentare creano nuovi problemi e offrono anche nuove opportunità a chi commercia alimenti e in famiglia non si soffre la fame. Il padre d’estate lo porta con sé per gli acquisti alimentari in Romagna, dove è sorpreso dall’8 settembre. Tornato a Como, la vivacità di Alessandro, che lavora con i suoi e cresce nelle strade della città provata dalla guerra preoccupa i genitori, che lo mettono in collegio al Gallio.
I suoi sono giochi “da incosciente”, come il recupero di oggetti dai vagoni bombardati alla stazione centrale o la distribuzione nelle cassette delle lettere dei volantini nascosti in piazza Roma da un gruppo di ragazzi antifascisti del Fronte della gioventù. che Alessandro conosce bene. Alla fine della guerra piazza Roma diviene il parcheggio dei mezzi corazzati americani e poi dei polacchi.
Il quattordicenne Alessandro lavora nella impresa famigliare.

Testimonianza raccolta l’11 novembre 2011 da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Franco De Ferdinando

Nasce a Milano il 14 maggio 1920 in una famiglia benestante di idee liberali, animata da spirito patriottico nel ricordo della grande guerra. Dopo gli studi inferiori si iscrive all’università per conseguire la laurea in ingegneria, ma interrompe gli studi per la chiamata alle armi nel 1943. Chiede di far parte dell’artiglieria alpina.L’annuncio dell’armistizio lo coglie a Milano, comandante di un reparto che presidia la ditta Lagomarsino. Qui, dopo aver messo in libertà i sottoposti, è catturato dai tedeschi e rinchiuso nella caserma del reggimento di cavalleria Nizza Savoia, da cui riesce a fuggire. Franco si rifugia a Carella, sobborgo di Eupilio, dove il nonno e la famiglia hanno la casa di campagna. Viene poi raggiunto dallo zio, già combattente della grande guerra e ufficiale alpino in Trentino e dal fratello minore, ufficiale a Napoli, entrambi sfuggiti all’arresto da parte dei tedeschi. In collaborazione con altri militari il gruppo si occupa del recupero di armi, che nasconde nei pressi dell’abitazione, entrando in contatto, anche fortemente conflittuale, con altri nuclei partigiani che operano nella zona, fra i quali quello di Gianfranco Puecher. Il gruppo partecipa ad alcune azioni in funzione di appoggio, come nel caso dell’assalto alla caserma di Canzo e si adopera nel salvataggio di ebrei. L’intervento della polizia fascista, che arresta i componenti della famiglia, porta ad un atteggiamento più prudente ed attendista. Franco torna a Milano e riprende a frequentare l’università, ma è fermato dai tedeschi e posto al servizio della Todt. Destinato alla Germania fugge nuovamente e il 25 aprile a Milano partecipa con altri partigiani all’occupazione della sede della Rai. Dopo la Liberazione Franco non riesce a riprendere gli studi, ma trova occupazione nello studio di un geometra che valuta i danni per i risarcimenti di guerra.

Testimonianza raccolta il 22 settembre 2011 a Eupilio da Daniele Corbetta e Valter Merazzi, riprese di Massimo Rossi.

Luciano Forni

Nasce il 7 febbraio del 1935 ad Asso, in una famiglia operaia: il padre è pulitore di forbici, attività verso cui si indirizzano anche i due fratelli maggiori dopo gli studi elementari; la madre, come la zia e altri parenti lavora alla Oltolina, industria tessile che assorbe un migliaio di operai, in gran parte donne. La fede religiosa della madre e lo spirito socialista della fabbrica sono gli elementi che concorrono alla sua formazione.
Luciano nel 1943 ha otto anni e vive le avversità della guerra che colpiscono anche il fratello Bruno, catturato dopo l’8 settembre dai tedeschi è internato a Bolzano, dove rimarrà fino alla liberazione.
L’altro fratello Ettore, temendo la chiamata dei fascisti repubblichini, si dà alla montagna con altri coetanei e inizia un’attività partigiana che trova assistenza e rifugio nella famiglia. Si susseguono mesi segnati dalle difficoltà e dall’incrudelirsi della guerra, che coinvolge anche la Vallassina. Luciano è un testimone che restituisce il clima delle paure e della liberazione, quando il fratello torna dalla montagna, la gente festeggia e riprendono un po’ alla volta le tradizionali attività.
Nel dopoguerra Luciano consegue il diploma di maestro, poi è direttore didattico.
Dopo l’attività nell’Azione Cattolica, la passione per la politica lo spinge ad entrare nella Democrazia Cristiana. E’stato deputato dal ’76 al ‘79 e senatore dal ‘79 al 1983.

Testimonianza raccolta l’11 e il 27 aprile 2011 da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Erminio Frigerio

Nasce a Como il 25 marzo 1922, figlio unico, poiché un fratello muore alla nascita. La madre figlia di Alfonso Pessina lavora presso la tintoria dello zio Ambrogio a san Martino, il padre, ardimentoso aviatore nella grande guerra, da cui ha riportato gravi conseguenze, trascorrerà gran parte della vita in ospedale.
Le condizioni economiche della famiglia non sono tali da permettere studi superiori: dopo le elementari in via Briantea, Erminio viene iscritto all’Istituto di avviamento professionale di via Brambilla ed a quindici anni viene assunto alla tintoria Pessina nell’ufficio paghe. Erminio è un giovane semplice, che pensa a lavorare e vive i rituali del fascismo come momenti di socializzazione più che nei loro aspetti ideologici.
Chiamato alle armi nel gennaio del 1942, parte con l’entusiasmo di molti coetanei, ed è impiegato in Italia in un reparto del genio autieri, ma presto si rende conto della realtà delle condizioni dell’esercito. A Padova all’annuncio dell’armistizio il comandante scioglie le righe e invita i sottoposti a dileguarsi prima dell’arrivo dei tedeschi. Erminio si rifugia presso alcuni contadini che gli danno abiti borghesi, con cui riesce a tornare a Como. Il 16 settembre, dietro consiglio accorato della madre, raggiunge la frontiera a Maslianico e con l’aiuto di un passatore scivola sotto la rete di confine rifugiandosi in Svizzera.
Dopo il concentramento a Chiasso, Erminio, come altre centinaia di rifugiati viene trasferito come internato militare nella Svizzera tedesca, dove rimane per quasi due anni, durante i quali lavora e riesce a mettere da parte qualche risparmio.
Rientra a Como nel giugno del 1945, riprendendo il suo posto alla Pessina.
La pace sollecita il suo desiderio di migliorare la posizione lavorativa e dopo 5 anni di Setificio serale viene messo a dirigere il reparto di tintoria dove introduce nuove tecniche di produzione.

Testimonianza raccolta il 14 e 21 febbraio 2011 a Como da Valter Merazzi e Maura sala, riprese di Valter Merazzi.

Giacomo Galimberti

Nasce a Milano il 22 febbraio del 1929. Il padre è autista e meccanico di gran livello, al servizio di importanti famiglie milanesi.
Giacomo dopo il collegio fa le medie al Cattaneo e frequenta l’oratorio del signorile quartiere di san Vittore. A seguito dei bombardamenti alleati, nell’estate del 1942 la famiglia sfolla a Lentate sul Seveso e successivamente si trasferisce a San Maurizio di Brunate al seguito del padre, uomo di fiducia del commendator Marenghi che vi possiede numerose proprietà.
Giacomo frequenta il liceo al collegio Gallio, dividendosi tra le precarietà della guerra vissuta in città, segnata dagli allarmi aerei e San Maurizio, dove cresce tra le ville signorili che ospitano sfollati altolocati, la postazione di osservazione antiaerea dell’aviazione repubblicana sul faro voltiano e la stazione radio tedesca, che fa da ponte verso la Germania, installatasi sulla via del Cao.
L’isolamento del luogo è interrotto il 24 aprile del ’45, quando i partigiani disarmano il presidio fascista e hanno uno scontro con i tedeschi che rifiutano la resa.
Dopo 15 giorni a Como riaprono le scuole e Giacomo conclude l’anno al Gallio. Ai primi del 1946 la famiglia torna a Milano e l’anno successivo, Giacomo si impiega in banca.

Testimonianza raccolta il 13 aprile 2011 a Osnago (Lecco) da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Massimo Rossi.

Giovanni Gandola

Nasce a Dongo il 22 agosto 1921, primogenito di nove figli. Il padre originario di Bellagio, si è trasferito a Dongo dove fa il contadino per una famiglia benestante, la madre è originaria di Dorio.
Dopo le elementari Giovanni a 13 anni inizia a lavorare alla cava di Musso. Nell’ottobre del 1936 è assunto alla Falck, come apprendista operaio nel reparto Scannagatta, che produce tubolari per gli aerei e i dirigibili dell’epoca.
Nel marzo del 1941 è chiamato alla leva nella marina, parte senza entusiasmo e nell’aprile del 1942 è inviato in Grecia sull’isola di Sfacteria, base militare della flotta, al servizio nella contraerea.
L’isola è sottoposta a pesanti bombardamenti alleati e l’8 settembre del 1943 occupata dai tedeschi, che catturano la guarnigione rimasta. Giovanni con altri militari italiani viene deportato in Germania, con un lungo viaggio che si conclude in un lager a Luckenwalde, alle porte di Berlino. Rifiutata la collaborazione coi nazifascisti, viene inviato al lavoro coatto in una fabbrica metallurgica come elettricista. Le condizioni della prigionia sono segnate dalla fame che attanaglia gli internati italiani, interrotta solo da pochi pacchi che giungono miracolosamente da casa e dalla solidarietà di qualche operaio tedesco. Sottoposta ai continui bombardamenti che colpiscono la capitale del Reich, la fabbrica viene completamente distrutta alla fine del 1944. Giovanni, sopravvissuto nei rifugi, nel tracollo della città assediata, trova lavoro presso un’altra fabbrica fino alla liberazione da parte dei russi che assistono e rifocillano i prigionieri italiani.
Rientra in Italia ai primi di ottobre in treno dal Brennero e viene accolto a Pescantina.
A Dongo trova una situazione ancora scossa dagli avvenimenti della fine della guerra, dove le vicende dei reduci hanno poco spazio.
Riprende il lavoro alla Falck ed è uno dei protagonisti dell’affermazione in fabbrica del sindacato unitario Cgil che prende il posto del sindacato fascista nella nuova Italia democratica, uscita dalla guerra e dalla Resistenza.

Testimonianza raccolta il 6 giugno 2011 a Dongo da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Luigi Gandola

Nasce il 9 dicembre 1929 a Bellagio, quarto e ultimo figlio da una madre di origine contadina e da un padre muratore e piccolo imprenditore con attività in Francia, che mal sopporta il fascismo: per questo viene incarcerato e costretto ad interrompere l’attività all’estero.
I lutti segnano la storia della famiglia: nel 1933 muore per una broncopolmonite a 23 anni la primogenita Maria, nel 1938 il fratello Giacomo venticinquenne è vittima di un incidente mortale sul lavoro.
Luigi frequenta le elementari a Bellagio e poi inizia a lavorare.
Il fratello Giovanni Battista, del 1920, giardiniere diplomato è chiamato alle armi in fanteria. Nel 1943, all’annuncio dell’armistizio, abbandonato il reparto a Seregno, torna a casa e si rifugia sul monte Nuvolone, che sovrasta Bellagio, con alcuni giovani del paese, iniziando un’attività partigiana che insidia i presidi fascisti posti a guardia delle ambasciate dei paesi alleati della Germania che qui risiedono.
L’attività principale del gruppo, che mantiene i contatti con il paese attraverso Luigi, sono principalmente i disarmi. Particolarmente significativo il recupero di 60 fucili e munizioni da villa Melzi. L’8 luglio del ’44 il gruppo partigiano è sorpreso dalla polizia fascista.
I due fratelli Gandola sono arrestati, condotti a Bellagio e qui sottoposti a pesanti interrogatori.
Giovanni Battista trovato in possesso di una pistola viene torturato e poi fucilato, Luigi è imprigionato a Como e viene liberato dopo un paio di mesi.
Tornato a Bellagio sotto osservazione, continua a tenere i contatti con la formazione partigiana e partecipa agli eventi del 25 aprile, che si concludono con la resa del presidio fascista. Nel dopoguerra trova impiego come giardiniere a Bellagio.

Testimonianza raccolta l’1 giugno 2011 da Valter Merazzi, riprese di Massimo Rossi.

Graziella Lupo

Nasce il 20 novembre del 1920 a Luserna San Giovanni, in val Pellice.
Il padre è figlio del direttore generale del dazio di Torino, la madre, di religione valdese, è figlia del fondatore della Caffarel, pregiata fabbrica di cioccolato.
Il padre, profondamente segnato dalla prima guerra mondiale, abbraccia la religione valdese e compie gli studi a Firenze fino ad essere nominato pastore. La famiglia dopo le Puglie e Sampierdarena giunge alla fine degli anni ’30 a Como dove esiste una piccola comunità valdese.
Il pastore Lupo è uomo di pace e di orientamento antifascista, sentimento che la madre di Graziella vive in modo appassionato. La casa dopo l’occupazione tedesca diviene luogo di rifugio per valdesi, antifascisti, ebrei che vengono ospitati ed aiutati ad espatriare con l’aiuto della rete resistenziale comasca e in particolare di Ginevra Masciadri.
L’arrivo del giovane Silvio Baridon, in aiuto al pastore per i suoi problemi di salute, porta ad uno stretto rapporto con la Resistenza comasca e con la complicità della madre l’abitazione diviene rifugio di armi. Graziella, figlia unica, cresce in questo clima.
Studia medicina e frequenta l’università a Milano, sconvolta dai bombardamenti.
A Como compie il tirocinio all’ospedale Sant’Anna, assistendo in camera operatoria il professor Pecco, mentre “Pippo” mitraglia la Napoleona.
La fine della guerra è il ricordo dell’entrata degli alleati da via Dante, la popolazione festante, la madre che prepara coccarde tricolori.
Nel dopoguerra si è specializzata in chirurgia plastica ed è stata uno dei primi primari donna dell’ospedale Sant’Anna di Como.

Testimonianza raccolta da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi

Erminio Nava

Nasce il 2 dicembre 1918 a Mariano Comense, figlio di un falegname antifascista che subisce violenze per la sua avversità al regime ed ha una piccola impresa, che produce salotti per l’America.
Erminio inizia presto a lavorare col padre fino alla chiamata alle armi nel 1938 nella divisione alpina ”Tridentina”.
Richiamato nel 1940 per la guerra alla Francia è inviato a Courmayeur, ma non partecipa alle operazioni militari per una menomazione. Successivamente viene inviato per tre mesi in Albania dove la “Tridentina” è impiegata in azioni contro i partigiani e poi destinato in Russia alle difese sul Don.
Per la perizia nel disegno viene aggregato al Quartier Generale, condividendo il destino dei soldati dell’Asse costretti a ritirarsi nel rigidissimo inverno sotto la pressione dell’Armata rossa, partecipando alla battaglia di Nikolajevka, che permette ai sopravvissuti di rompere l’accerchiamento e tornare in Italia.
L’8 settembre all’arrivo dei tedeschi fugge da Vipiteno e torna a Mariano attraverso le montagne.
Si nasconde con l’aiuto della famiglia e si unisce ai partigiani della formazione “Franchi”, guidata da Ugo Moglia.
Dopo una serie di azioni di disarmo, una delazione porta all’arresto e alla fucilazione di un cugino di Erminio e allo smembramento della formazione, che sposta la sua azione a Milano. Nei giorni dell’insurrezione il gruppo della “Franchi” è protagonista di azioni di disarmo di fascisti. Il 25 aprile Erminio ferito ad un braccio viene ricoverato in ospedale, dove rimane per un mese.
Tornato a casa Erminio riprende l’attività di artigiano, che nel dopoguerra gli darà molte soddisfazioni.

Testimonianza raccolta il 30 settembre 2011 a Mariano Comense da Valter Merazzi, riprese di Francesco Merazzi

Agostino Pessina

Nasce a Milano il 1 febbraio 1921. Il padre, pilota d’aviazione nel corso della I guerra mondiale. lavora per l’azienda energetica di Milano. Dopo il diploma di progettista disegnatore di macchine, Agostino va a militare nel gennaio del 1941 nel genio trasmettitori.
L’entusiasmo giovanile verso la guerra svanisce nel corso del servizio in Alto Adige, fra una popolazione ostile e l’insufficienza delle dotazioni.
L’8 settembre 1943 il suo reparto si consegna ai tedeschi dopo la fuga dello Stato maggiore da Bolzano. Trasferito oltre il Brennero con migliaia di commilitoni, finisce a Meppen in un lager ai confini con l’Olanda.
Dopo aver rifiutato la proposta di arruolamento dei fascisti repubblicani viene inviato al lavoro coatto e trasferito nel lager VI D a Dortmund in Westfalia. Viene impiegato nella manutenzione elettrica in una fabbrica bellica più volte sottoposta ai bombardamenti, dove rimane fino alla fine della guerra.
La sua condizione è tra le più accettabile data la sua specializzazione, ma nel lager vive la disperazione dei compagni sfruttati fino alla morte nelle miniere e negli altiforni del bacino industriale renano, con i quali condivide la fame e l’oppressione.
Il passaggio a lavoratore civile, dopo l’accordo fra Hitler e Mussolini del luglio ’44, non muta le condizioni di fondo, ma la maggior libertà concede più margini alle strategie di sopravvivenza. Nell’aprile del 1945 fugge con alcuni compagni durante il trasferimento dei prigionieri a Kassel, nei cui dintorni viene liberato dalle truppe americane. Rientra in Italia il 15 agosto 1945.
Dopo un anno di disoccupazione trova lavoro come garzone elettricista, ma presto, anche per le esperienze acquisite durante la prigionia viene assunto dall’Alemagna dove diviene capo elettricista.

Testimonianza raccolta il 5 aprile 2011 a Merone da Valter Merazzi e Maura Sala, riprese di Valter Merazzi.

Renzo Pigni

Nasce a Fagnano Olona il 24 settembre 1925 da una famiglia modesta: la madre lavora una filatura, il padre, artigiano falegname in proprio, giunge a Como nei primi anni ’30 con la famiglia, che alla morte di un parente rileva un negozio di cornici e vetri in viale Lecco.
Renzo frequenta le scuole di via Perti e la parrocchia di Sant’Orsola, guidata da un parroco antifascista. In famiglia guardano con distacco al fascismo: il padre è seguace di Matteotti, la madre è donna di cultura e di profonda fede religiosa.
La guerra e le sue illusioni non coinvolgono Renzo che si dedica alla reciatazione teatrale e inizia a lavorare presso il negozio di bilance dei Curioni.
Il fratello maggiore è chiamato in guerra in aviazione e inviato a Rodi, dove l’8 settembre è catturato dai tedeschi e deportato a Dresda.
Dopo l’occupazione tedesca di Como, Renzo fugge alla chiamata alle armi della repubblica fascista, rifugiandosi in montagna, ma si presenta a seguito delle minacce sul padre. Inquadrato in un reparto posto al servizio dell’esercito tedesco, riesce ad evitare la deportazione in Germania e viene impiegato in lavori di manovalanza lungo il confine con l’Austria.
Profondamente toccato dalla fucilazione di alcuni compagni, catturati dopo la diserzione, fugge e raggiunge Como per poi rifugiarsi a Fagnano Olona presso uno zio.
Qui prende contatti con esponenti del Movimento di Liberazione e incontra Lelio Basso, socialista e membro del Cln, che diviene il suo maestro politico.
Partecipa marginalmente alle azioni nei giorni insurrezionali, collaborando nei giorni successivi al 25 aprile alla ricostituzione delle rappresentanze politiche e amministrative della valle Olona.
Torna a Como in giugno, riprendendo la sua attività lavorativa, che presto abbandona per seguire la sua vocazione sindacale e politica.
Eletto deputato nella circoscrizione di Como per quattro legislature per il Psi e per lo Psiup, è stato collaboratore di Sandro Pertini e sindaco di Como.

Testimonianza raccolta il 18 febbraio e il 6 aprile 2011 a Como da Valter Merazzi e Maura Sala.