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Ferite profonde come quelle della seconda guerra mondiale e della follia totalitaria che la scatenò sono lente da guarire. L'ombra dei lager nazisti si allunga ancora oggi nella memoria di chi quell'esperienza tremenda la visse in prima persona, di chi ebbe un amico o un familiare lì imprigionato o ucciso. Fra quelle migliaia di persone vi furono anche tanti italiani, che il regime hitleriano condannò a pagare per il "tradimento" dell'8 settembre con il lavoro coatto nei campi di internamento. Le testimonianze qui raccolte rompono il silenzio che oggi circonda questo dramma troppo poco conosciuto, troppo poco ricordato.

Noi del Patronato, invece, questo dramma lo conosciamo bene. E non dai libri di storia, ma dal dialogo con quelle stesse persone che parlano in queste pagine e di tante altre come loro, che già prima d'ora, così come si sono rivolte a quelle Associazioni che da sempre li hanno tutelati e hanno dato loro voce in questi anni, sono venute anche ai nostri sportelli chiedendo ascolto, consiglio e assistenza.
Ascolto anzitutto, perché farle raccontare la propria storia e il proprio disagio è spesso esso stesso il primo valido aiuto verso una persona che si sente debole, vittima dell'ingiustizia, dell'esclusione o semplicemente dell'oblio. Fa parte da sempre della missione del Patronato essere vicini a tutti i cittadini e soprattutto a chi si trova in condizioni di debolezza sociale, come i lavoratori migranti; ma quando come in questo caso all'estero si andò sotto la minaccia delle armi, senza altra speranza che uscirne vivi; quando il lavoro fu imposto nella forma della schiavitù, che non nobilita l'uomo ma lo degrada; quando furono violati i diritti non solo del lavoratore, ma della persona, allora abbiamo un motivo in più per essere al loro fianco.

Molte di queste persone hanno chiesto assistenza al Patronato per ottenere, ai sensi delle leggi vigenti nei Paesi un tempo belligeranti e oggi saldi nei valori della democrazia, un gesto di giustizia riparatrice che certo non avrebbe restituito loro quella parte di vita e di pace interiore rimasta nel lager accanto ai cadaveri dei compagni morti di stenti o falciati dalle mitragliatrici, ma almeno avrebbe sedato un poco l'amarezza di sentirsi non solo vittime, ma vittime dimenticate.

120 mila nostri connazionali presentarono domanda alla Repubblica federale tedesca per ottenere il risarcimento spettante ai deportati; a tutt'oggi però solo a tremila di essi, quelli perseguitati per motivi razziali e religiosi, è stato riconosciuto questo diritto, negato invece agli altri perché considerati prigionieri di guerra, anche se nel loro caso la Convenzione di Ginevra non fu mai applicata.

Certe situazioni, crediamo, l'Europa moderna potrebbe e dovrebbe superarle, a maggior ragione ora che l'allargamento ad est sta ricucendo i territori un tempo dilaniati dal conflitto mondiale in una prospettiva di sviluppo comune e di progressiva integrazione. Quanto a noi, come Inas-Cisl continuiamo a prestare la nostra assistenza e ad adoperarci anche a livello politico affinché sia fatta giustizia.

Giustizia, aggiungiamo, anche da parte dello Stato italiano. Questa Italia che oggi annovera tra i suoi principi sanciti dalla Costituzione il ripudio della guerra, verso questi suoi figli che ne furono due volte vittime dovrebbe pensare quanto meno a un gesto simbolico, ma moralmente e storicamente necessario quanto il risarcimento materiale, di riconoscimento e di rispetto.


Gian Carlo Panero
Presidente INAS Cisl


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