Como 14 febbraio 2003
Intervista al sig. O. Feliciano, Foligno, 1920
Sottotenente, Artigliere, Divisione Perugia, IMI,
Catturato a Bar (Montenegro), deportato a Meppen, Chelm, Deblin Irena, Oberlangen

 

Ci dice qualcosa della sua vita prima di andare a militare? I suoi primi venti anni, da che famiglia proviene, i suoi studi?

Sono nato a Foligno, ho vissuto in famiglia fino a undici anni, purtroppo a undici anni persi mio padre. Morì abbastanza giovane a 47 anni ed essendo una famiglia numerosa, sei figli, i miei zii avevano la possibilità di guardarci un po’ in assenza del padre, decisero di mettermi in collegio tre anni a Foligno e cinque anni a Vicenza dove terminai gli studi nel luglio del ‘39 diplomandomi in Perito Industriale, ramo meccanici.
Dopo di che tornai a Foligno e andai subito a lavorare in uno stabilimento aeronautico, in una filiale della Aermacchi di Varese che aveva aperto uno stabilimento lì a Foligno per la costruzione di S84 (aerei da bombardamento). Lì rimasi fino ai primi di gennaio del ‘41.
Fui rinviato come chiamata di sei mesi, perché dovendo fare il corso di Allievo Ufficiali non rientravo nello scaglione precedente per cui mi ritardarono la chiamata di sei mesi.
Con il quindici di gennaio andai a Lucca al corso di Allievo Ufficiale di Artiglieria da campagna. Fui nominato Sottotenente d’Artiglieria di prima nomina, e inviato alla sede reggimentale di Foligno, dove come sede, era la sede del Primo Reggimento d’Artiglieria “Cacciatori delle Alpi” le famose “Cravatte Rosse”. Lì si costituì il nuovo Reggimento d’Artiglieria denominato “151° Reggimento Artiglieria da Campagna” della Divisione Perugia. Aveva il Reggimento di Fanteria uno a Spoleto l’altro a Perugia: una divisione di formazione e una divisione per la guerra.
Lì facemmo quello che si doveva fare per costituire questo Reggimento e l’otto di dicembre sempre del ‘41, ci portammo a Bari, tutta la Divisione, dove ci imbarcammo sulla nave “Rosandra”, e sbarcammo a Spalato per andare a fare truppe di occupazione in Dalmazia e in Croazia.
Lì rimanemmo fino al marzo, aprile del ‘42, e da lì poi ci trasferimmo nel Montenegro via Cattaro.
Nel Montenegro, con la mia batteria che era la Settima batteria del Terzo gruppo di questo Reggimento “151° Artiglieria”, ci piazzammo su un promontorio sopra ad Antivari, denominato attualmente Bar, lì sulla costa, proprio sopra alla Capitaneria di porto di Antivari, perchè c’era anche il porto militare. Prendemmo posizione a Bar, con la batteria che era la Settima batteria del Terzo gruppo del Reggimento in postazione antisbarco e antiaereo, nel senso che avendo noi in dotazione i cannoni da 75/27 che erano molto manovrabili, nel senso che avevano molta possibilità di alzo e di giro, per cui potevano anche essere utilizzati per quelle mansioni lì, specialmente come antiaerea; nel senso che riusciva ad alzare la canna fino a circa 80°. Erano state predisposte delle piazzole di cemento, i cannoni piazzati sopra queste piazzole con carrelli girevoli, in modo che questi cannoni potevano essere manovrati in tutte le direzioni e con appunto l’inclinazione molto forte che avevano si poteva anche sparare contro gli aerei; comunque eravamo lì in posizioni antisbarco.
Lì siamo stati sorpresi dall’8 settembre. Lì prima dell’8 settembre io vorrei dire delle cose forse note o no; comunque io le racconto come me le ricordo.
Non posso naturalmente giurare e ammettere al 100% che quello che dico è la pura verità: però io dico quello che mi ricordo. Tra l’altro però è stato avallato da altri colleghi quando ci siamo ritrovati nelle varie riunioni del GUISCo e in precedenza altre riunioni che facevamo con gli ex ufficiali di quel reggimento al giorno di S. Barbara il 4 di dicembre. Facevamo regolarmente tutti gli anni a Foligno, facendo anche una commemorazione in onore dei defunti; in particolar modo del Colonnello Comandante del Reggimento che ci lasciò la penne in Grecia …no, in Albania, non in Grecia.
Ora quello che voglio dire è questo. Noi seguivamo l’andamento della guerra in Sicilia, sul fronte russo, dopo lo sbarco in Normandia quello che è successo in Francia ecc.; seguivamo tutto questo naturalmente preoccupati del fatto che le cose non andavano bene, però non immaginavamo che le cose stessero prendendo una piega niente affatto simpatica. Nel senso che succedevano, nel mio piccolo, nella mia batteria, dico mia batteria perché io malgrado fossi ancora sottotenente, la promozione mi era stata data però non mi era stata comunicata, ero sottotenente e come sottotenente dovevo comandare la batteria, perché il capitano era un capitano di quelli anziani, richiamato e che non si intendeva più di niente, perché dopo vent’anni non si ricordava più niente e quindi l’avevano tirato via. Io come sottocomandante dovevo fare il comandante, quindi: parlo di mia batteria in quel senso.
Arrivavano delle comunicazioni alquanto strane, per esempio: arrivavano dei telegrammi in cifrato, noi avevamo un cifrario, andavamo a prendere il cifrario per decifrare quello che c’era scritto nel telegramma e non si riusciva mai a decifrare niente perché i cifrari usati per fare i telegrammi erano nuovi e noi non ci tenevano aggiornati; per cui ogni cosa, ogni comunicazione in cifrato che arrivava, non si capiva niente, e quello naturalmente ci dava un po’ fastidio però non ci lasciava presupporre che ci fosse in ballo già un qualche cosa a sovvertire le cose rispetto a come dovevano andare.
Altri ordini, arrivati verbalmente ci dicevano che se fossimo sorvolati da aerei nemici, nel senso allora nemici si intendeva inglesi o americani, non dovevamo sparare, a meno che non fossimo stati bombardati.
Al che noi pensavamo: “Prima ci prendiamo una bomba, ci buttano per aria tutto, poi dopo spariamo, va bè ! ” Sì, gli ordini comunque erano quelli lì.
Un’altra cosa che mi lasciò molto perplesso fu che un giorno, era … penso il mese di luglio del ’43, quindi poco tempo prima dell’otto settembre, ricevetti un’ispezione da un generale, un Comandante di Corpo d’Armata di stanza nel Montenegro, non mi ricordo però il nome, con tutto il seguito naturalmente! Tra l’altro è successo un fatto curioso, perché io sentii dare l’allarme dalle sentinelle, e io insieme ai soldati eravamo in acqua a fare il bagno, quindi c’è da immaginare! In fretta e furia tornare su, andare lì nella baracca dove abitavo, tirar fuori i vestiti, vestirmi senza asciugarmi; mi presentai al Generale ancora con i pantaloni sbottonati… Il Generale, tutto meravigliato del fatto che non c’era un ufficiale vestito decentemente a riceverlo, mi disse: “Ma chi è il Comandante qui?” “Signor Generale. sono io il Comandante! Ma come si presenta qua!” “Eravamo in mare con i soldati a fare scuola di nuoto!” E invece non era vero, perché eravamo lì a pesca, dopo a fare i tuffi e a fare il bagno! Per cui dice: “Beh, va bene!” Comunque dice: “ Va bene, va bene!” Il Generale dice: “Mi faccia vedere l’ufficio tiro”. L’ufficio tiro era costituito da una grossa tenda con dentro un tavolo dove avevamo tutte le carte: già predisposte per fare i tiri, per sparare in mare con la contraerea, che cosa bisognava fare, ecc… tutto quanto.
Questi piani di tiro, erano stati concordati con il Generale che comandava l’artiglieria del Montenegro, quindi non era una cosa fatta da me, che potevo aver sbagliato tutto: era venuto a farlo un competente. Questo Generale gli dà una guardata, mi ricordo sul tavolo c’era uno di quei matitoni rosso-blu, “Questo… “ Non va bene niente!” Ha preso il foglio e ha cancellato tutto, ha fatto segni di croce, “Ma signor Generale!” dico, “Queste non vanno bene!” Dico: “Ma che cosa devo fare se succede …”Ah! Non si preoccupi, tanto non succederà niente! Questa roba non serve più …”
Al che cominciai a pensare che lì si stava facendo… Adesso il nome in voga è il “ribaltone”, chiamiamolo “ribaltone”. Si stava facendo il ribaltone perché non bisognava sparare, i piani non andavano più bene, non andava più niente! Praticamente erano cambiati tutti i motivi per i quali noi eravamo stati dislocati in quella zona lì!
La stessa cosa succedeva ai colleghi che comandavano le altre batterie che erano dislocate lungo la costa: ce n’era una a Dudua (?) e un’altra nelle vicinanze di …sopra le bocche di Cattaro; anche loro hanno ricevuto la stessa visita, lo stesso trattamento eccetera eccetera.
Noi siamo rimasti lì perplessi non sapendo cosa fare, e dicevo: “Ma arriverà qualcuno, che ci dirà che cosa dobbiamo fare! Dobbiamo andar via o che ? Va bene, niente di tutto questo. E’ arrivato invece l’otto settembre.
L’otto settembre abbiamo saputo di quello che era successo, ora i soldati, i sottufficiali erano un po’ euforici, “è finita la guerra … adesso torniamo a casa,… questo e quest’altro.”, e io cercai di calmarli un po’, dico: “Guardate che le nostre case sono purtroppo al di là dell’Adriatico, quindi per arrivare a casa o risaliamo dal Montenegro a Fiume e poi torniamo indietro, altrimenti il problema è grosso”, anche perché sapevamo di essere circondati dai partigiani di Tito, eccetera eccetera. “Quindi la cosa non è tanto semplice e comunque vediamo, ci diranno che cosa si deve fare”.
Adesso posso raccontare un fatto personale, non so se è il caso, ma lo racconto perché, per me è costata molta fatica, è una cosa …Io ero amico con un guardiamarina della Capitaneria di porto ,ci trovavamo spesso il giorno, la sera o che …. La sera dell’8 settembre venne su in baracca dove avevo una stanzetta e mi disse: “Senti, noi abbiamo a disposizione un motoscafo d’alto mare, questa notte partiamo tutti della Capitaneria di porto su questo mezzo e andiamo a Bari”, nel frattempo Bari era già stata liberata dagli alleati; “Se vuoi venire, un posto per te, c’è” mi dice.
Io ci pensai un po’, poi lo ringraziai e poi gli dissi: “Io sono qui che comando la bellezza di 108 uomini; lasciamo perdere i cavalli, i materiali, i cannoni e cosi, però gli uomini ci sono, son stato con loro fino adesso, se io vado via, qui non si cura più nessuno di loro di questi qui; questi qui, rimangono allo sbando e non sapranno più cosa fare! Se rimango io, perlomeno c’è un punto di riferimento, decideremo insieme cosa c'è da fare, però “Io rimango”. Ringraziai e rifiutai di andare.
Il giorno dopo ricevemmo l’ordine di metterci in marcia per l’interno dal Montenegro, precisamente verso Cettigne senza sapere il perché. Se non che per strada, ricevemmo degli ordini particolari da parte di un Generale di cui non ricordo il nome perché a distanza di sessant’anni … c’è poco da fare … Generale che aveva assunto il comando delle Forze Italiane dislocate nel Montenegro. Mi pare che si chiamasse generale Damiani se non mi sbaglio, e se non sbaglio doveva essere il Comandante della Divisione Modena.
In quel momento la situazione tra l’altro era molto confusa perché la Divisione nostra, la Divisione Perugia era in fase di trasloco, in fase di trasferimento, in Albania. Tant’è che il Comando di Reggimento con tutto lo Stato Maggiore, con i reparti ausiliari del Comando di Reggimento, s’erano già portati in Albania. I rispettivi Comandi della Divisione Modena s’erano portati dall’Albania nel Montenegro, per cui noi, praticamente, in quella circostanza, ci aggregarono a questo Comando che non era il nostro Comando ma era il Comando della Divisione Modena. Ci dissero di portarci nell’interno del Montenegro, perché il comando di divisione aveva deciso di combattere contro i tedeschi, senza neanche interpellarci. Però noi parlammo tra di noi con gli altri Comandanti di Batteria che nel frattempo ci eravamo ritrovati tutti lì ad Antivari per trasferirci appunto a Cettigne, e parlammo tra di noi, sentimmo anche un po’ il parere dei soldati, e i soldati dissero: “Se non si può tornare in Italia, l’unica maniera è quella di liberarci dai tedeschi e … E dopo di che, se … facendo questo, abbiamo, diciamo una certa considerazione da parte dei partigiani di Tito, vuol dire che questi ci faciliteranno il ritorno in patria, il ritorno in Italia”.
E così insomma, in maggioranza eravamo tutti d’accordo di combattere contro i tedeschi e tra l’altro c’era in fase di trasferimento una divisione corazzata tedesca che dalla Grecia doveva raggiungere il nord della Jugoslavia per poi portarsi, non so di preciso se ancora in Polonia o che, dove stava avanzando il fronte Russo. Noi dovevamo contrastare il passaggio di questa divisione corazzata.
Ora, non è che fossimo molto fiduciosi sulle nostre forze, perché noi avevamo dei cannoni da 75.27 dell’altra guerra la Prima Guerra Mondiale. Avevamo delle mitragliatrici, avevamo i fucili, i 98, dell’altra guerra mondiale. Avevamo una certa speranza di riuscire a fare qualcosa in quanto saremmo arrivati per primi su un passo, un passo di una strada che da Cettigne portava a Cattaro; e questa divisione doveva per forza passare su quella… Era un valico in poche parole senza altre possibilità, c’era solamente quella strada. Noi attestandoci con le artiglierie su questo passo, potevamo sperare di fare qualche cosa: cioè pensavamo: “Se riusciamo a bloccare qualche carro armato lì in mezzo alla strada prima che lo spostino, blocchiamo questa divisione” .
Inoltre eravamo aiutati dalla Divisione di Alpini, la Divisione Taurinense che era attestata nella parte al di là della vallata di dove ci trovavamo noi, anche loro con lo stesso ordine di combattere i tedeschi.
Con questo arrivammo …Tra l'altro devo dire che durante la marcia di trasferimento da Antivari a Cettigne, fummo bombardati con degli spezzoni da aerei tedeschi. Soltanto che i tedeschi sapevano già! Prima l’han saputo loro e poi l’abbiamo saputo noi che cosa andavamo a fare nell’interno del Montenegro perché altrimenti non c’era ragione di bombardarci. Va bè! Avemmo anche dei feriti, per fortuna morti nessuno, ma insomma, comunque, ci mitragliarono e ci mandarono giù degli spezzoni.
Arrivammo a Cettigne e ci portammo su questo valico, sopra a Cattaro, e lì piazzammo i cannoni tutti puntati contro la strada: due da una parte e due dall’altra, due da una parte e due dall’altra contro la strada per sparare contro questi carri armati una volta che si fossero presentati; sperando che poi le cose fossero andate nel verso giusto ma certo che di speranza ce n’era poca: perché contro una divisione corazzata che cosa potevamo fare! “beh, va beh”; comunque per noi gli ordini erano quelli lì.
Arrivato il ventuno di settembre, si seppe che l’avanguardia della divisione stava arrivando.
In quel momento i Comandanti dei Reggimenti di Fanteria della Divisione non era Modena, mi sbaglio era la Divisione Emilia, beh comunque Modena è nell’Emilia, era la Divisione… Adesso m’è venuto in mente! Il Comandante di Reggimento di quei due Reggimenti di Fanteria della Divisione Emilia, ci fecero sapere: “noi siamo con i tedeschi, pertanto se voi vi permettete di sparare un solo colpo contro i tedeschi, noi abbiamo tutte le armi puntate contro di voi, e vi facciamo fuori, perciò contro i tedeschi non dovete sparare”.
Al che, che cosa bisognava fare?
Lì dovemmo decidere! Non solo sparare ai tedeschi … ma sparare pure agli italiani perché dei due colonnelli, avevano deciso in questa maniera perché non credo che i soldati avessero avuto tanto intenzione di sparare contro di noi; però … insomma … ci fecero sapere questo.
Allora decidemmo “va bene non spariamo perché qui altrimenti succede una carneficina: quelli sparano a noi, noi spariamo a quelli lì, spariamo contro i tedeschi, i tedeschi sparano a noi, rimaniamo tutti qui, è meglio non sparare e vediamo cosa succede”.
Rimanemmo in attesa e arrivò questa Divisione tedesca; alcuni ufficiali di questa Divisione, vollero sapere chi comandava; mi presentai io, si presentarono gli altri colleghi delle altre batterie, dissero semplicemente: “togliete gli otturatori dei cannoni e consegnateceli”; va bene: togliemmo gli otturatori dei cannoni e glieli portammo. Loro li caricarono sui loro mezzi, “adesso voi dovete andare, con quali mezzi vedete voi, noi non vi togliamo niente: non vi togliamo le armi, mitragliatrici, fucili, munizioni, i carreggi e i camion, avevamo anche delle moto eccetera., oltre che un’ottantina di cavalli. Dovete raggiungere Skopje, che si trova in Kossovo o in Macedonia? Dovete raggiungere Skopje dove c’è il concentramento degli italiani.
Vi lasciamo le armi perché vi dovete difendere dai partigiani di Tito i quali faranno di tutto per disarmarvi. Quindi voi le armi non le dovete cedere! Perché se arrivate… questo dissero i tedeschi. Premettendo che noi eravamo sotto la legge marziale tedesca, “se arrivate a Skopje, se ci arrivate, disarmati, vi fuciliamo tutti, ufficiali senz’altro e poi i soldati che arrivano senza fucile o senza mitragliatrice li fuciliamo” e per questo dice: “vi dovete difendere dai partigiani”.
E da lì, partimmo a tappe di venti - venticinque chilometri al giorno e così c’avviammo verso Skopje, impiegammo … una ventina di giorni. Perché dovemmo attraversare il Montenegro, tutta l’Albania e parte della Macedonia o del Kossovo. Non mi ricordo bene adesso l’itinerario.
Comunque arrivammo a Skopje, a Skopje ci fermammo 3 o 4 giorni.
Sistematicamente, mattina e sera c’era l’adunata da parte dei tedeschi e ci chiedevano perché cercavano gli optanti, chi voleva optare…

 

Avevate qualche notizia di quello che succedeva in Grecia? Della vostra divisione Perugia?

No … no … di quello che era successo al nostro comando non avevamo avuto notizia. L’abbiamo avuta poi dopo il rientro dalla Germania, abbiamo saputo che avevano fucilato il Colonnello, il Cappellano militare, l’Ufficiale di Stato Maggiore, non mi ricordo di preciso quando ma gli ufficiali dell’Ufficio comando della divisione Perugia lì hanno fucilati tutti; beh … va bene. Qui è successo un po’ quello che è successo a Cefalonia poi insomma …
Lì a Skopje, come vi dicevo, mattina e pomeriggio, facevano l’adunata e volevano sapere chi era disposto o a optare per la Germania o per la Repubblica Sociale Italiana come militare, il che significava una rieducazione presso l’esercito tedesco in Germania oppure in Italia; o chi voleva optare per il lavoro, il lavoro civile. Già parlavano allora di lavoro civile.
Veramente ci fu qualcuno che fece questa scelta. Io avevo un carissimo amico Sottotenente … sottocomandante della Nona batteria, lui non si fece scrupolo di dire: “io ho prestato giuramento al Re e al Duce e continuo ad essere fedele se non al Re che è scappato, perlomeno al Duce sì, e io continuerò a combattere con i tedeschi” e lui lo disse chiaramente perché voleva mantener fede a questo giuramento.
Ora, un affare di questo genere secondo me era giusto per lui, per la sua persona, come vedeva le cose lui, però non la vedevo giusta per chi volesse seguire un’altra strada. Cioè noi, o almeno io, non ero un volontario della guerra, a me m’hanno chiamato, logicamente non potevo rifiutare, ho dovuto fare il corso di Allievo Ufficiale m’hanno detto di fare quello che dovevo fare l’ho fatto, sempre in maniera abbastanza scrupolosa e abbastanza responsabile anche se avevo solamente venti anni e comunque, non era una responsabilità di poco a essere lì al comando di una batteria, soprattutto nei confronti degli uomini, non tanto come dicevo prima del materiale o dell’altra roba, ma degli uomini sì. Quindi ho cercato sempre di fare le cose nel mio modo, anche se come esperienza non ne avessi avuta molta: perché giovane in quel modo non è che si potesse avere tanta esperienza.
Quindi, dicevo che quel fatto di tener fede a un giuramento, era valido e non era valido: in quanto quel giuramento, non è che ci fosse stato strappato con la forza; però sicuramente di un giuramento volontario c’aveva ben poco, perché a scuola da Balilla e Avanguardista e giovane fascista eccetera, siccome si andava a scuola bisognava per forza essere Balilla, Giovane fascista e Avanguardista o quello che era. Anche se io specialmente quando ero proprio giovane giovane va bè: sopportavo, non è che ci badassi molto, ma al momento, quando avevo diciassette-diciotto anni che ero così chiamato Giovane fascista, non è che fossi troppo d’accordo. Non tanto per ideologia, perché allora nelle scuole, poi io ero stato in collegio quindi di tante cose proprio non ne avevo neanche sentito parlare: per me allora che cosa significasse Democrazia non lo sapevo, non lo avevo neanche trovato scritto sui libri. Non sapevo niente! Quindi sapevo solamente quello che mi avevano detto del fascismo, conoscevo le cose buone che il fascismo aveva fatto, conoscevo le cose cattive che il fascismo stava facendo e tra le altre cose la guerra e come siamo entrati in guerra con quel fatto di entrare in guerra quando la Francia ormai era stata fatta fuori; insomma: non era stato un bel gesto per i nostri cugini anche se i francesi sono cugini per modo di dire no? … va bè lasciamo perdere, comunque … Comunque: come dico, io, non è che fossi un fanatico oppositore del fascismo, però non ero neanche nè entusiasta nè dalla parte del fascismo, facevo quello che mi obbligavano a fare però lo facevo contro voglia; tant’è che siccome che io stavo ancora in collegio e in collegio era un po’ una specie di prigione anche se eravamo trattati bene non è che fossimo … però come libertà non ne avevamo. Avevamo la libertà d’andare a scuola, finita la scuola dovevamo tornare in collegio a studiare, perché quello che contava era lo studio, e praticamente eravamo liberi il sabato che era il cosiddetto “sabato fascista”; e quella mezza giornata, a me mi seccava d’andare a fare l’adunata, andare a fare la marcia, andare a fare l’istruzione militare e tutta quella roba lì e quando potevo sgattaiolavo, e me ne andavo al cinema o andavo da qualche altra parte; non per ideologia ma perché proprio mi pesava quel modo di vivere ecco.
Allora come dico, a quel giuramento io non ho dato molto peso, perché io adesso sono costretto a fare una scelta, la scelta la faccio a modo mio, secondo il mio punto di vista.
Noi ci siamo opposti ai tedeschi e i tedeschi ci hanno presi, ci han fatto prigionieri praticamente, ci han presi e adesso ci portano in Germania. E fin che ci portano in Germania io sarò un’oppositore dei tedeschi; perché i tedeschi qualunque cosa mi possono dire: se voglio lavorare, dirò no! Voglio combattere ancora con loro, dirò no! Loro dicono che sono traditore, va bene sono traditore! Tra l’altro ci chiamavano Badogliani i traditori…eravamo i Badogliani. In contrapposizione naturalmente con la repubblica di Salò. E così io ho dovuto tirare avanti fino al 16 aprile del ‘45.

 

L’unica cosa che non ho capito è come siete arrivati su con le armi. Poi vi hanno fermato?

Si: e le armi le abbiamo depositate a Skopje; a Skopje ce le hanno ritirate tutte.

 

Eravate soltanto i vostri reparti quando vi hanno radunato o c’erano già altri reparti?

No, era già abbastanza pieno di italiani provenienti da tutte le parti dall’Albania, dalla Grecia, quelli che non avevano ammazzato. C’era già parecchia gente là a Skopje.

 

Voi non avevate l’illusione che vi mandavano a casa? Perché molti dopo l’8 settembre catturati anche in Grecia, il 9 il 10 settembre, avevano l’illusione, …o gli dicevano che li mandavano a casa.

No, questo era quello che dicevano i tedeschi: “se optate per noi, noi vi portiamo in Italia, poi farete l’istruzione eccetera eccetera, ma in Italia. Chi vuole lo può fare in Germania ma altrimenti vi portiamo in Italia.

 

Chi è venuto a farvi le offerte per la Repubblica sociale?

No… dicevano solamente che se si optava per la Germania, ci avrebbero poi consegnato alla Repubblica sociale, come …no non ce n’erano, non c’era nessuno.

 

C’erano ancora altri ufficiali con voi?

C’erano gli ufficiali degli altri reparti e c’erano gli ufficiali delle nostre batterie. Perché noi siamo arrivati a Skopje tutti uniti. Tutto il Reggimento costituito da due gruppi e cioè sei batterie, eravamo tutte e sei e abbiamo viaggiato insieme e siamo arrivati a Skopje insieme. Naturalmente mancava il Comando perché il Comando non c’era, eravamo solo noi ed eravamo tutti ufficiali inferiori. C’era qualche Tenente ma il resto eravamo tutti giovani, tutti Sottotenenti.

 

Vi hanno radunato …

Ci hanno radunato e ci hanno lasciato lì per tre o quattro giorni continuando a chiederci se volevamo optare per la Germania, per la Repubblica sociale o per il lavoro. Naturalmente la massima parte si è rifiutata perché naturalmente dicevamo che non ci fidavamo e che essenzialmente dicevamo: “Ci avete preso siamo dei prigionieri e perciò noi non possiamo decidere di venire con voi, di andare con la Repubblica sociale eccetera, noi potremmo solamente decidere se ci portate in Italia liberi; in Italia ci lasciate liberi, dopo di che, una volta in Italia noi decideremo cosa fare: Se andare con la Repubblica sociale, con i tedeschi o con nessuno”.
Naturalmente i tedeschi di questo non si fidavano, volevano un’opzione sul posto, perché pensavano già “se li portiamo in Italia questi qui poi tagliano la corda e non ne troviamo più nessuno!

 

Nel periodo precedente o anche dopo l’8 settembre avete avuto qualche rapporto, qualche contatto con la Resistenza Jugoslava?

Contatti di collaborazione no. Avevamo purtroppo dei contatti come nemici, nel senso che noi avevamo durante la nostra permanenza specialmente in Croazia, e qualcuna anche nel Montenegro, abbiamo partecipato a dei rastrellamenti, abbiamo effettuato dei bombardamenti, dei cannoneggiamenti eccetera. Abbiamo assistito a quella famosa battaglia di cui non mi ricordo il nome e comunque ci fu una grossa offensiva da parte dei partigiani di Tito nell’interno del Montenegro, no, nell’interno della Croazia, no sbaglio: nel Montenegro, tra i partigiani di Tito e una divisione italiana.
I partigiani di Tito stavano per sopraffare quella divisione italiana: ci sono stati parecchi morti, parecchie perdite, e in soccorso a questa divisione italiana arrivò una divisione di tedeschi e costrinsero i titini a ripiegare sulle montagne, così. Ma per fortuna perché arrivò la divisione tedesca altrimenti la divisione italiana l’avrebbero fatta fuori tutta.
In quella circostanza, io ero ancora lì ad Antivari e ad Antivari c’era un campo di concentramento di partigiani di Tito o simpatizzanti, o comunque i ribelli come lì chiamavano allora, ed erano lì in campo di concentramento.
In ritorsione a quella battaglia che si svolgeva nell’interno del Montenegro, nell’alto Montenegro, il Comando evidentemente dall’alto, logicamente perché non eravamo noi a disporre di certe cose, ordinarono la fucilazione giornaliera di un partigiano ogni giorno fino a quando Tito non si fosse ritirato con i partigiani mentre si svolgevano le battaglie nel Montenegro.
Noi avevamo l’ordine di partecipare, assistere alle fucilazioni, io ero in guerra ma io la faccia da guerriero non ce l’ho mai avuta. Sono sempre stato contrario perché per me la guerra è una cosa da evitare nella maniera più assoluta! Comunque mi faceva senso solamente pensare di dover assistere a una fase di quel genere: per cui io o perché con la scusa che ero di servizio o perché ero di picchetto, ero di giornata, o che ero qui o che ero là, io non ho mai assistito e non ho mai voluto assistere; comunque purtroppo succedevano anche queste cose.
Un’altra cosa brutta che accadde a Salona, Salona è in prossimità di Spalato, i primi tempi. Era nei primi di gennaio del ‘42, eravamo a mezzogiorno ed eravamo nella sala mensa ufficiali, io mi ricordo che ero rannicchiato dietro una stufa colossale, era un monumento: una stufa metallica, di ghisa, perché faceva un gran freddo, e stavo acquattato dietro a questa stufa per riscaldarmi un po’ in attesa che fosse pronto da mangiare.
Vidi entrare dalla finestra due bombe; c’erano alcuni ufficiali seduti già al tavolo e così le bombe rotolarono sotto il tavolo, esplosero, fecero parecchi feriti, uno in maniera grave che per fortuna poi si è salvato.
Logicamente scattò subito una reazione alla ricerca dei colpevoli. I colpevoli chi volevamo che fossero: erano i partigiani! Insomma noi eravamo a casa loro c’è poco da fare, diciamo le cose come stavano: erano loro in casa loro noi eravamo lì a fare da padrone e non eravamo i padroni; quindi era anche logico e giusto che in qualche maniera reagissero; però le cose si sa com’è … come sarebbero andate, e la polizia militare riuscirono a scovare i due colpevoli che avevano buttato le bombe. Allora Corte Marziale: fucilazione.
E lì, proprio nel nostro gruppo, dovevano fare il sorteggio dell’ufficiale che doveva comandare il plotone d’esecuzione. Ecco io, in quel momento lì, lì è stato uno dei momenti più brutti di tutto il periodo.
Solamente a pensare di dover andare a comandare il plotone d’esecuzione per ammazzare una persona che tra l’altro era dalla parte della ragione e non dalla parte del torto, anche se aveva buttato delle bombe, era una cosa che per me era insopportabile! E per fortuna non sono stato estratto quindi non ho visto e non ho partecipato e … ma queste son cose della guerra insomma no, questi albanesi, come dico se fossero partigiani o no non lo so, comunque non si presentavano come partigiani e anche se erano armati ci perseguitavano perché volevano i cavalli, volevano le nostre armi, ma così con le buone maniere, senza sopraffarci, ce li chiedevano addirittura a pagamento. Noi avevamo l’ordine, siccome i cavalli, praticamente ne perdemmo quasi la metà; venti giorni di trasferimento venti cavalli dovemmo abbattere perché non avevamo più da dargli da mangiare, non avevamo tempo per farli pascolare, non c’era fieno, non c’era foraggio, non c’era più niente, dimagrivano continuamente e giorno per giorno ogni tanto se ne vedeva uno che non ce l’ha faceva più a camminare e dovevamo abbatterlo; però dopo l’abbattimento del cavallo dovevamo tagliare lo zoccolo a dimostrazione che il cavallo non l’avevamo venduto; al che abbiamo dovuto presentare gli zoccoli dei cavalli abbattuti durante il percorso; oltre che alle armi, eccetera.
Come dico, l'unico contatto che avevamo con gli albanesi era questo.

 

Vediamo questo viaggio verso la Germania che è cominciato …

Ecco posso aggiungere un’altra cosa a proposito dei contatti o meno coi partigiani?
Durante il tragitto ci furono alcuni anche della mia batteria, comunque alcuni soldati, sottufficiali ecc., che decisero di andare con i partigiani; sperando di poter rientrare in Italia sapendo che, andando in mano ai tedeschi e non continuando il rifiuto di lavoro o di collaborazione con i tedeschi in Italia non ci saremmo andati, scelsero di andare con i partigiani; però molti di questi, il giorno dopo o nei giorni successivi tornarono indietro quasi nudi: senza pastrano, senza armi e scapparono dai partigiani, perché i partigiani dopo averli diciamo depredati di quello che avevano, non li han voluti perché evidentemente non si fidavano, perché altrimenti lì avrebbero accettati.
Ma logicamente è risaputo che molti italiani andarono coi partigiani e coi partigiani son rimasti; hanno anche combattuto coi partigiani eccetera, quindi forse dipendeva dalla qualità del reparto dei partigiani che si incontrava. Se uno andava in un reparto di ladroni quelli lì gli portavano via tutto poi lo rimandavano a casa; se invece andavano con delle formazioni partigiane serie e intenzionate a combattere, quelli li prendevano tant’è che molti italiani son rimasti veramente coi partigiani. Ma questi comunque sono stati casi sporadici, perché il grosso è arrivato tutto a Skopje e poi da lì, come dico, c’è stata la selezione di quelli che volevano collaborare o no, e poi un bel giorno, dopo tre o quattro giorni, non ricordo più di preciso, ci han messo sul treno, le tradotte, e ci hanno portato in Germania.. La nostra tradotta in quella circostanza non fu un treno di carri bestiame come invece è successo poi in seguito. Era un treno normale, con vetture vecchie di terza classe, allora c’era la terza classe, però erano tutte chiuse dall’esterno, perché c’era la scorta dei tedeschi e ci hanno chiuso dentro e quindi non si poteva scendere a piacimento; ci facevano scendere quando volevano loro, a fare dei bisogni o quando arrivando in una stazione c’era qualcosa da mangiare.
Arrivammo in Westfalia, nella zona di Meppen, che poi era considerata una zona di campi di concentramento. Lì scendemmo, facemmo una marcia di una decina di chilometri e arrivammo lì al campo di Meppen. Lì fu il primo campo di concentramento; avevamo ancora dietro qualche scorta da mangiare e qui, avemmo una prima sorpresa quando distribuirono il rancio. Distribuirono da mangiare a mezzogiorno, che era un mangiare abbastanza decente diciamo rispetto a quello che poi abbiam visto in seguito. Era un mangiare fatto di orzo, patate, con un po’ di condimento, qualche pezzetto di carne, beh insomma una cosa abbastanza … almeno così a vederla sembrava un qualcosa di buono; senonché a mangiarla, si sentiva un sapore di fango e di terra perché il mangiare lo facevano senza una dovuta pulizia delle patate; patate sbucciate sì, ma evidentemente non le lavavano bene per cui rimaneva tanto fango: e questa minestra sapeva fortemente di fango. Tant’è che quelli che erano già lì da qualche giorno o da un po’ di tempo, questa cosa la sapevano: “quando arrivano quelli nuovi questa cosa non la mangiano perché ha un sapore di fango e non riescono a mangiarla” ed erano lì ad aspettare che noi rifiutassimo perché non potevamo mangiarla; e infatti così è successo: “non è buona! Sa di fango!”
E allora dammela che la mangio io, … dalla che la mangio io” … e se la mangiavano loro perché oramai erano assuefatti da quel sapore, o anche perché avevano già incominciato la cura della fame.
Lì entrando in una baracca mi ricordo un fatto curioso, trovai un ufficiale, un capitano, che io ritenevo anziano allora ma anziano per me che avevo vent’anni quello lì avrà avuto meno di quarant’anni sicuramente; però si sa, i giovani vedono le persone più anziane come vecchie. Era lì che stava trafficando con un temperino su un pezzo di legno e chiesi: “ma cosa sta facendo?” E dice: “sto preparando le bilancine per pesare il pane quando distribuiranno il pane in modo che tutte le fette siano divise uguale.” Ma lui dice…com’è andato a pensare… ma quello lì stato prigioniero nell’altra guerra degli austriaci e quindi sa già che cosa succede nei campi di concentramento era lì e preparava la bilancina: questo è un particolare curioso ma m’è rimasto in mente perché poi effettivamente, ognuno di noi poi si è fatto la propria bilancina durante.
Bene: siamo stati lì a Meppen una quindicina di giorni e poi arrivò l’ordine di trasferimento e ci portarono in un altro campo: (non mi ricordo più); comunque, forse ho sbagliato ma io ho fatto un conto, di aver cambiato tredici volte campo di concentramento, tredici campi di concentramento, in poco meno di un anno! In poco meno di due anni!

 

Si è fatto un’idea di come mai così tanti cambiamenti?

Perché non ci tenevano molto tempo nello stesso campo in quanto pensavano che ci si potesse organizzare sotto tanti aspetti così e allora cercarono di smistarci in questa maniera.



Vi smistano però lei resta sempre con i giovani ufficiali?

Nei primi due o tre campi c’erano anche militari di truppa: tant’è che io rimasi coi miei soldati per un po’ di tempo. Solamente alla metà di dicembre decisero di concentrarci in Polonia.

 

Ci dica qulcosa prima di dicembre, relativa a questo periodo in cui lei cambia già due o tre campi dopo Meppen.

Si: … la musica era sempre la stessa!
Adunata al mattino al freddo, … adunata alla sera sempre al freddo, fuori, in fila, per la famosa conta. La conta sarebbe stata che un ufficiale tedesco ci contava: poi faceva finta di sbagliare per tenerci lì apposta al freddo, contava, sbagliava, ne manca uno, ricontava invece non mancava nessuno vabè; e lì poi arrivava il comandante di campo con la solita musica: “allora, chi vuole optare per per qui per la, per il lavoro, per la Repubblica Sociale Italiana o per …..“.

 

Sempre solo i tedeschi si sono presentati?

Sempre solo i tedeschi … sempre solo i tedeschi e a seconda dei campi c’erano ufficiali della Wehrmacht, oppure in qualche campo addirittura SS. Solitamente c’erano ufficiali invalidi di guerra, mutilati eccetera che li utilizzavano oramai … non più idonei per il fronte e li tenevano lì in campo.

 

E lavoro coatto in questi primi campi non ve ne hanno fatto fare?

No: in questi solamente la richiesta di collaborazione: due volte al giorno era la stessa musica!

 

E in questi primi campi c’erano prigionieri anche di altri paesi?

In questi campi non c’erano altri prigionieri, ma c’erano polacchi e russi adibiti ai servizi. Erano lì da parecchio tempo e tra l’altro si diceva che in quei campi lì una volta erano campi di polacchi, campi di russi eccetera e che in un modo o nell’altro erano quasi morti tutti di stenti, di fame, di epidemie, ed altri, alcuni sono rimasti ed erano adibiti ai servizi, erano in cucina, al trasporto col carro delle patate delle verdure che utilizzavano per fare la zuppa … erano adibiti a questi servizi; ma altri prigionieri in questi campi no; eravamo solo italiani.

 

Ad un certo punto però, la separano dai suoi soldati, ed è quando viene inviato in Polonia?

Sì a un certo momento hanno stabilito di radunare tutti gli ufficiali inferiori: dal Sottotenente al Capitano nella famosa cittadella di Chelm che si trova a oriente rispetto a Varsavia, in prossimità di Deblin Irena, una fortezza costruita dai polacchi non so quanti anni prima, per difendersi dalle invasioni russe, non so di quale gente … Fatto sta che era una fortezza enorme, immensa, penso che aveva oltre un chilometro di diametro: era a forma elittica da un lato un diametro maggiore di un chilometro, insomma era una costruzione enorme. C’erano dei muri che erano larghi quanto questa stanza, mi ricordo che nelle finestre, sui davanzali ci andavamo a metterci lunghi e distesi per quanto erano ampie; era una fortezza enorme!
Comunque: ci radunarono tutti lì, divisi in scaglioni di mille ufficiali per scaglione, separati l’uno dall’altro, c’è chi parlava di venticinquemila, ma in effetti non eravamo in venticinquemila e comunque, in quindicimila sicuramente Qui presero tutti gli ufficiali inferiori di tutti i campi di concentramento e li hanno portati tutti la in questo campo: questo a Deblin Irena. mi son sbagliato: perché il primo campo, quello di Chelm, era un campo di concentramento di baracche, costruito durante la prima guerra mondiale: Quindi erano delle baracche con muri fatiscenti: con delle crepe larghe così, entrava l’aria da tutte le parti, però devo dire anche che c’erano delle stufe enormi, che andavano a torba, lì nelle vicinanze c’erano delle miniere di torba, la torba non è mai mancata per cui perlomeno, anche se entrava l’aria gelida, perché si andava sempre su 10, 15 o magari anche 20 gradi sotto lo zero, perché lì fuori era tutta una distesa di ghiaccio; però dentro, stando vicino alle stufe si poteva ancora vivere. Anche se qualche volta ci facevano degli scherzi nel senso che, la baracca dove c’erano le docce, dove c’era il posto per la disinfestazione dei vestiti ecc., era al di fuori logicamente da queste baracche: e allora ci costringevano ad andare in una baracca per denudarci e lasciare lì i vestiti che passavano alla disinfestazione, e ci facevano andare nudi, fuori, nella baracca dove c’erano le docce. Beh: si può pensare “ma come facevate a resistere con quel freddo?” Beh, in effetti non si faceva in tempo a sentire freddo perché si usciva di corsa, si entrava nell’altro tempo sì, ci si raffreddava un po’ esternamente, ma non ho mai patito il freddo per queste cose; mentre ci facevano patire il freddo quando ci facevano uscire al mattino e alla sera fuori in fila e ci tenevano delle ore, e lo facevano apposta proprio per demoralizzarci, per indurci insomma ad acconsentire, ad aderire …

 

Qual’era il clima psicologico? e poi, c’erano delle malattie per caso già in (corso)?

Sì, purtroppo c’era gente che come salute era un po’ precaria, diversi tipi di malattie, e specialmente dissenterie, malattie ai polmoni, dolori reumatici.
Quelli li ho avuti anch’io alle ginocchia: una notte mi son svegliato e non potevo più dormire dal gran dolore che avevo alle ginocchia non le potevo piegare, non potevo stare in piedi, non potevo far niente, è stato un attacco alle ginocchia non so se dovuto a che cosa al freddo, all’umidità o che, per fortuna poi, senza medicinali senza niente poi come è venuto è andato via, poi da quella volta non ho sentito più niente, una cosa abbastanza strana; però, per me è stata una cosa di poco conto ma altri erano veramente e gravemente malati; e purtroppo noi vedevamo da questa cittadella o dal campo di Chelm, vedevamo i soliti polacchi o russi coi carretti che portavano via quelli che durante la notte erano morti Insomma, era una cosa che accadeva abbastanza spesso! Va bene che eravamo in tanti in quelle condizioni, era quasi logico che molti non resistessero!
Devo dire che quello che ha aiutato me e quelli che come me, della mia età, era appunto l’età giovanile; ma quelli che avevano qualche anno di più hanno veramente dovuto sopportare in un’altra maniera questo periodo; specialmente quelli che avevano la famiglia: chi aveva moglie, chi aveva figli… Io pensavo solamente: “molto probabilmente non tornerò a casa! Beh … va bè se non torno a casa beh pazienza …” , io non avevo nè moglie nè figli; avevo ancora mia madre e i fratelli però loro, vivranno lo stesso anche senza di me, anche per il fatto che io, già da undici anni come ho detto prima, son stato via da casa quindi, non è che fossi tanto di famiglia: ero ormai diventato quasi un estraneo; quindi, pensavo che se mi fosse successo qualcosa, … sì logico, specialmente per mia madre, sarebbe stata una disperazione ma, poi sarebbe passata. Ma per chi aveva famiglia proprio, io li vedevo; io ho visto gente piangere, piangere al pensiero di quello che poteva succedere a tutti noi, e logicamente dei riflessi della loro famiglia; vabè comunque, le cose andavano in questa maniera.
Dunque lì, da quel campo di concentramento di Chelm si trasferirono a Deblin Irena dove c’era questa fortezza, su una tradotta di carri bestiame. Premetto anche dalla Westfalia in Polonia, carri bestiame. Però perlomeno avemmo una fortuna: che il comandante era un capitano tedesco: un comandante della pattuglia di scorta, evidentemente non era tanto nazista o tanto dell’idea di chi comandava: e fece del tutto per farci fare quel viaggio in una maniera meno pesante possibile. Io mi ricordo: l’ho sentito dire, ma poi in effetti ho anche visto, che lui telefonava alle stazioni dove il treno si sarebbe fermato per mangiare qualche cosa così e diceva: “E’ in arrivo un treno di collaborazionisti italiani” in modo che preparassero le cose un po’ migliori insomma no, invece non lo eravamo affatto.
La stessa cosa successe quando noi arrivammo alle tre di notte a Chelm, arrivò questo treno, questa tradotta chiamiamola così, su un binario morto, fuori c’erano allineati i camion dei tedeschi, con i tedeschi inquadrati, due o tre tedeschi per ogni camion, ogni camion aveva prospicente un vagone, al vagone siamo scesi noi, i soldati ci hanno preso quei pochi bagagli che avevamo, che avevamo uno zainetto con qualche straccetto dentro perché non è che avessimo tanta roba, ce l’hanno caricato loro sul camion, siamo andati tutti in fila con i camion tutti allineati dentro il campo, dentro il campo c’erano tutte le stufe accese, alle tre di notte, un gran freddo: tutte le stufe accese. Una cosa molto ben organizzata! Ci fecero fare un tragitto dove ci consegnavano un pagliericcio per metterci dentro la paglia, dove ci consegnavano un piatto, dove ci hanno consegnato un cucchiaio, un bicchiere, un asciugamano, insomma tutta una cosa che negli altri campi non ce l’ha siamo neanche sognati: tutta una cosa organizzata. Forse per merito di quel capitano lì: penso io che sia stato no, che … comunque la parte positiva poi è finita tutta lì perché poi in quel campo lì in quanto a mangiare, incominciò il periodo della fame.

 

Potevate comunicare con l’Italia?

Una volta giunti lì a Chelm, incominciarono a distribuire quei formulari già predisposti per poter scrivere ai familiari e allegare, anzi era unito a questo formulario, un altro formulario per la richiesta dell’invio dei pacchi, pacchi alimentari. E logicamente approfittammo tutti quanti scrivemmo a chiedere pacchi, a chiedere di qui a chiedere di là e io, nel frattempo, non so se fu in quel periodo o comunque successivamente ci fu il passaggio del fronte, la Linea gotica che si stabilì lì tra la Romagna e la Toscana, per cui i miei rimasero dall’altra parte. Quindi la mia corrispondenza, la mia richiesta di pacchi, niente, non andarono a buon fine, e allora siccome avevo dei parenti a Torino mi rivolsi a questi miei zii di Torino che mi mandarono … mi scrissero che me ne avevano mandati tanti; in effetti me ne era arrivato uno solo ma non perché questi pacchi venissero trafugati o che… Ma purtroppo, con tutti i bombardamenti che c’erano, molti di questi pacchi logicamente arrivavano via ferrovia, venivano bombardati quindi venivano distrutti, magari qualcuno andava anche in mano ai soldati non lo so; comunque, su dieci pacchi che spedivano in Italia se andava bene ne arrivavano si e no due o tre; io ne ho ricevuto solamente uno comunque.
Come dico lì incominciò il periodo della fame perché il menu era: Acqua calda al mattino con un infuso di tiglio e basta: Acqua insomma no pane o che, niente!.
A mezzogiorno davano una fetta di pane, era una pagnotta rotonda così, bisognava dividerla in sei o sette o otto, adesso non mi ricordo ma so che quando eri ultimo veniva fuori una fettina di pane grossa sarà stato: poco più di cento grammi.
Davano una zuppa, una minestra fatta con verdure secche rinvenute nell’acqua, patate, e dopo queste patate le mettevano dentro non sbucciate e col freddo che faceva là, tutti questi magazzini di patate, le patate si congelavano col freddo, e la patata congelata non si cuoce più, diventa dura e basta; la puoi far bollire un’ora ma tale rimane!
Inoltre, e questo lo so di sicuro, perché poi a turno andavamo in cucina con la speranza di potersi sfamare un po’, di riprendere un po’ di energia, facevo i turni per andare lì in cucina a lavare le patate, a aiutare in cucina e vedevo come lavavano le patate. Le patate… C’erano un mucchio di patate per terra e con la pompa dell’acqua gli davano una schizzata, uno andava con il badile a ribaltarle un po’, l’altro continuava a lavare ma figuriamoci la patata , che non è tra l’altro, non è mai liscia o che, nelle fessure, negli incavi rimane sempre terra fango; quindi c’era da immaginare com’era questa minestra. Praticamente: se c’era qualche patata buona, bollendo siccome lì le facevano bollire per rinvenire l’erba, quell’erba secca, la facevamo bollire delle ore, la patata spariva, si diluiva nell’acqua praticamente quelle buone; quelle cattive invece rimanevano; e quelle cattive purtroppo erano immangiabili perché, è come mangiare non solo una patata cruda, ma una patata cruda andata a male; non si poteva mangiare!
E inoltre quelle verdure, tra le altre cose c’erano delle rape: le chiamavano rape da foraggio; erano così amare e così cattive, che tra l’altro non solo erano amare, ma quando si mangiavano irritavano la gola. La gola si gonfiava, non si potevano mangiare; sia per il sapore sia perché facevano quell’effetto lì; quindi il mangiare lì praticamente ci dovevamo accontentare di mangiare un po’ di pane e insieme al pane davano un giorno un po’ di margarina, un altro giorno un cucchiaio di marmellata: poca roba insomma; e questo doveva bastare per tutto il giorno!

 

Questo in Polonia.

Sì questo avvenne in Polonia.

 

Questo avvenne a Deblin Irena: dopo Deblin Irena come mai è stato spostato?

Dopo Deblin Irena ci fu un nuovo spostamento verso la Westfalia nuovamente nei campi di Meppen, Oberlangen, e altri campi di cui non mi ricordo il nome, e va bè.
Accadde che, nel frattempo, il fronte russo stava avanzando ed era arrivato in prossimità della Polonia: noi eravamo lì ai confini praticamente, della Polonia.
Noi pensavamo che, lì dentro a quella fortezza di Deblin, dico una mattina, si radunano tutti, ci mettono in mezzo, piazzano un po’ di mitragliatrici, ci fanno fuori, e arrivederci perché stanno arrivando i russi: non credo che i tedeschi siano contenti che i russi ci prendano: perché potremmo poi collaborare coi russi e va bè, … ci fanno fuori tutti e arrivederci. E invece no! Insomma io, che sotto certi aspetti, dei tedeschi devo dire certe cose, sotto altri aspetti ne devo dire altre. Per esempio su quanto riguarda l’organizzazione, è ineccepibile; per quanto riguarda l’onestà di molti tedeschi, anche; per quanto riguarda la crudezza e la cattiveria di molti tedeschi, lo devo pure dire perché se no …
Questo succede un po’, non solo ai tedeschi perché da noi italiani ci sono i buoni, ci sono i cattivi, ci sono gli onesti, ci sono … non è così? Invece, contrariamente a quello che pensavamo, incominciarono dai primi di febbraio, una tradotta al giorno per mille ufficiali al giorno, ci han portati via. Ci hanno portati appunto in Westfalia: la nei campi dove eravamo stati praticamente prima di andare in Polonia , più o meno la zona era quella lì.
Il mio gruppo diciamo, gli ultimi mille, prima di partire i tedeschi ci indicarono il posto e ci dissero: “lì ci sono un gran quantitativo di surrogato di caffè in pacchi da due chili, mi ricordo pacchi enormi, e poi lì in una grotta accanto ci sono le rape”; ma erano quelle rape di cui vi parlavo prima: immangiabili, dovevi andar lì e svuotare il magazzino “portarvele dietro perché durante il viaggio, non vi daremo da mangiare e voi vi dovrete arrangiare con quella roba lì!”. Va bene, noi facemmo in questa maniera: prendemmo un paio di pacchi di quel surrogato, un po’ di rape che poi dopo le buttammo via perché erano immangiabili, e insomma per un paio di giorni abbiamo tirato avanti con surrogato, masticavamo quella roba lì.
Io ho saputo che i tedeschi, tenevano per ciascuno di noi una contabilità: ma era una cosa inimmaginabile, con tutti i guai che avevano, che stavano perdendo la guerra, di qua di la, i morti i disastri, i bombardamenti, e quelli pensavano a tenere una contabilità. Ho saputo in seguito, che a noi spettavano 30 marchi al giorno: come loro adesso dicono che eravamo prigionieri di guerra no: eravamo Internati Militari Italiani; si sono rimangiati … eh, hanno ricambiato le carte in tavola come … Si vede che hanno perso il pelo ma non il vizio, comunque, come Internati Militari ci spettava una retribuzione giornaliera di 30 marchi e da questi 30 marchi, defalcavano vitto e alloggio: sì! In misura adeguata a quello che ci offrivano logicamente, e quella roba che dovemmo prelevare dietro loro invito, se la conteggiavano! Se la scalarono sui nostri conti particolari. Insomma: non avevano nient’altro da pensare evidentemente; beh va bene comunque, andò in questa maniera che ci rimisero dentro dei vagoni, carri chiusi, in cinquanta per ogni vagone, e lì fu una tribolazione indescrivibile perché eravamo chiusi: aprivano una volta al giorno, ci facevano scendere per farci sgranchire un po’ le gambe perché dentro al vagone, di notte, bisognava fare a turno per stendere le gambe; perché non si trovava modo di allungare le gambe e allora avevamo escogitato un sistema e cioè quello di mettersi a raggiera, con tutti i piedi al centro e le teste in giro, ma poi che cosa succedeva: che con tutti questi piedi relativi a scarpe, o scarponi o stivali uno sopra l’altro così, non si poteva resistere più di 10 minuti più d’un quarto d’ora e poi si incominciava tira qua tira la tira tutto uno scombussolamento, andava a finire che nessuno dormiva, e allora ci dovevamo accontentare di metterci seduti con la schiena appoggiata alla parete del carro, e anche lì a turno perché non c’era posto per tutti, e … lì abbiamo affrontato il viaggio in quelle condizioni: C’era il solito bidone in mezzo al tavolo per bisogni e logicamente diventava uno strazio per molti perché psicologicamente c’erano alcuni che non riuscivano a fare i loro bisogni in presenza della gente lì vicino insomma, penso che sia una cosa più che naturale; insomma succede anche non in quelle circostanze, anche in altre circostanze molto più, molto meno gravi e comunque le cose andavano in questa maniera.
Siamo arrivati dopo un viaggio disastroso, tra le altre cose facemmo una sosta alla stazione di Berlino, sottostammo un bombardamento, per fortuna io sono ancora qui, le bombe non son cadute sopra al treno, comunque bombardarono la stazione, ci salvammo perché le bombe ci hanno evitato; ma comunque ci potevano anche prendere in pieno perché le bombe cadevano lì vicino; poi dopo lì stemmo fermi tutta la notte alla mattina poi continuammo il viaggio finchè arrivammo nuovamente lì nella zona di Westfalia.
Nella zona di Westfalia, fummo accolti in un campo dove evidentemente c’era gente che non la pensava come quel capitano che ci scortò in Polonia; perché i soldati armati, con i cani, continuavano a urlare ordini: [finti abbaiamenti] “qua! La! Una! La! La!” che non ci lasciavano in pace e quando vedevano qualcuno che non faceva quello che dicevano loro, con la cassa del fucile sulla schiena, … insomma una cosa, una cosa tremenda.
E va bene, lì entrammo nelle baracche, e furono delle baracche che, erano state costruite per ospitare trenta persone; infatti c’era metà della baracca, c’erano dei tavoli, delle panche, nell’altra metà c’erano i castelli. Avevano innalzato i castelli fino al soffitto, erano, invece di essere i soliti due posti massimo tre, erano cinque posti: arrivavano fino al soffitto. Per cui arrivare fino a lassù in cima nelle condizioni in cui eravamo noi era già un problema.
Ma inoltre questi castelli li avevano raggruppati, avvicinati l’uno all’altro per cui i passaggi erano strettissimi, se passava una persona non poteva passar l’altra, bisognava far le manovre, beh ma questo non era il peggio. Il peggio era quello lì degli insetti, in particolar modo delle pulci. Pidocchi ne circolavano dappertutto.
Io ho avuto una fortuna e poi ho avuto una sfortuna: la fortuna era quella che per quanto io mi sia guardato addosso non sono mai riuscito a trovare un pidocchio e vedevo i vicini, quelli che dormivano accanto a me, che alla mattina tiravano via la maglia e si mettevano a caccia di questi pidocchi, io facevo altrettanto e non vedevo niente. Evidentemente sarà questione di sangue. Per contro con le pulci, non son riuscito a salvarmi.
Quando incominciò a far caldo verso aprile maggio, le baracche furono invase da queste pulci: ma parliamo di miliardi, così, senza pensare di esagerare; proprio miliardi: le trovavamo dappertutto. E, lì dall’infermeria distribuirono una polverina a base di aglio, con un odore pestilenziale, insopportabile; tra l’altro io già da giovane, già da quando avevo diciotto anni, soffrivo di ulcera allo stomaco; e chi ha sofferto di ulcera sa benissimo che gli odori forti, specialmente quelli cattivi, sono insopportabili; fanno aumentare i dolori in maniera lancinante: proprio non si sopportano io per esempio non sopportavo a parte quell’odore lì: ma l’odore di acetone, l’odore di vernici, l’odore di letame, io dovevo scappare di fronte a quegli odori lì!
Ora che cosa succedeva che mentre tutti alla sera ci mettevamo nei nostri posti, ci cospargevano con questa polverina per non essere punti dalle pulci. Io non lo volevo fare perché se mi mettevo quella roba addosso io svenivo dall’odore e dai dolori allo stomaco; e allora passavo la notte dando la caccia alle pulci. Insieme a me c’era un collega, un carissimo amico che purtroppo è morto.
Alla mattina facevamo il conto le mettevamo tutti in fila, chi ne aveva prese di più tanto così per fare un qualche cosa; va bè. Anche lì, in quel campo, logicamente il mangiare era quello che era, ……

 

Qui siamo a Oberlangen ?

No … no lì era un altro campo: deve essere stato il campo di Meppen o roba di questo genere. Anche lì dopo 10-15 giorni ci trasferirono al campo di Oberlangen; anche lì, penso che sia stato il campo dove c’erano le SS quindi, era una cosa tremenda, non si poteva fare niente, non ci si poteva avvicinare alle reti che circondavano il campo, c’erano le torrette con su le mitragliatrici piazzate …

 

Chi c’era nel campo di Oberlangen oltre a voi?

Beh … erano tutti ufficiali: ufficiali di qualsiasi provenienza di tutte le armi, c’erano della marina, dell’aviazione … tutti italiani comunque. Anche lì c’erano degli stranieri, russi, polacchi, ma alcuni di noi anche quelli adibiti ai servizi.

 

Continuavano ancora le offerte di adesione?

Sì, sempre sempre in continuazione: due volte al giorno c’era la conta al mattino e la conta alla sera, ed era sempre la stessa musica.

 

Le richieste di lavoro?

Sì, le richieste erano quelle lì: o di collaborare come lavoratore, o collaborare militarmente aderendo all’esercito tedesco o all’esercito italiano della Repubblica sociale. Era sempre … Ma poi agivano con diverse maniere; tra l’altro ad esempio, agivano sul mangiare; le razioni ogni giorno diminuivano: ci prendevano anche per fame oltre che per il freddo; perché, come dico ci tenevano appositamente delle ore fuori, al freddo, in una maniera insopportabile. Comunque le cose andavano in questo modo; poi c’erano tante altre cose: lì i soldati avevano i cani, quando passavano gli aerei che oramai era diventata una cosa, che giorno e notte passavano sempre; c’era l’ordine che come si sentiva l’allarme perché suonava l’allarme, dovevamo subito sparire nelle baracche; di notte e di sera, chiudere le finestre e spegnere le luci, non si potevano accendere le luci eccetera. Chi tardava un momento gli scaraventavano dietro i cani; lasciavano libero il cane per farci entrare anche quando non era poi tanto necessario. A parte il fatto poi che gli aerei passavano e andavano a bombardare le città della Ruhr, della Renania, della Colonia, Dusseldorf, Dortmund, non è che non sono lì a bombardare le baracche dei prigionieri … Non lo so… Comunque loro guai! Come suonava l’allarme bisognava sparire nella baracca, altrimenti c’era da fare i conti… Essere assaliti dai cani, o addirittura da loro con le cascate sulla schiena del fucile; insomma era una cosa insopportabile; però era così!
Verso i primi di giugno, nel frattempo c’era stato quell’accordo tra Hitler e Mussolini di trasformare gli Internati Militari Italiani, soldati e sottufficiali, in lavoratori civili; così per legge, senza sentire se erano d’accordo o non d’accordo; la legge era stata stabilita in questa maniera. Naturalmente anche chi non era d’accordo li hanno costretti perché han detto: “Da domani siete liberi, siete dei civili, come civili dovete lavorare, perché se non lavorate non prendete la paga e non prendete le carte annonarie. Quindi: se volete mangiare, volete andare a comprare qualche cosa, (quello che permetteva il mercato che era alquanto magro e scarso) e avere i soldi per comprarlo, dovete accettare questa condizione; dovete andare a lavorare, prendere le carte annonarie, firmare un documento” che loro chiamavano il “pass”, una specie di passaporto o che, come documento personale, e quindi le condizioni erano queste. Questa cosa non l’hanno potuta fare con gli ufficiali: gli ufficiali l’accordo non lo prevedeva e allora hanno continuato a chiedere: Volevamo lavorare, o volevamo optare per la Germania o la Repubblica o che … continuando oramai non c’era più nessuno che, giunto a quel punto lì, se c’era stato qualcuno in precedenza, qualcuno oramai… Non c’era più nessuno che fosse d’accordo; eravamo tutti… Quello che dice qui il Sommaruga: questo no ripetuto per due anni! Se nonché arrivarono a una determinazione cioè dissero: “Voi non volete collaborare, noi vi facciamo collaborare per forza perché vi prendiamo a lavorare di prepotenza”.

 

Dopo la civilizzazione, dopo il passaggio a civili, vi hanno chiesto se volevate optare o passare a lavoratori, avete detto di no e allora…

A seguito del nostro rifiuto, hanno deciso di agire diversamente; e cioè: di prendere a scaglioni o singolarmente, o a gruppi, gruppetti eccetera e mandarli a lavorare così in maniera coatta: cioè contro la nostra volontà.
Vorrei fare un inciso, tornare un po’ indietro per un fatto…Siccome che… Mi avete detto che forse può servire quando andate nelle scuole, e forse ai bambini interessano più certi particolari che non tutta la storia vera diciamo… Volevo raccontare quando eravamo in Polonia, ci davano da mangiare appunto quella minestra, quella zuppa con le patate non sbucciate piene di fango e con le patate crude, siccome nel frattempo incominciarono ad arrivare i primi pacchi, e con i primi pacchi, molti di noi, cioè io no, ma degli altri… E incominciarono a mangiare un po’ di roba che era una cosa da non confrontare con quello che ci davano loro, roba mangiabile diciamo, e allora son tornati a quello che è successo quando entrammo nel primo campo: cioè che non ci piaceva il sapore del fango: e allora questi che erano piuttosto sazi per aver mangiato pane secco, castagne o quello che arrivava da casa, non ce la facevano più a mangiare la minestra che sapeva di fango, o patate marce o che, e incominciarono a ribellarsi: “ma allora perché dobbiamo mangiare questa roba qui, dobbiamo far sbucciare le patate, andiamo tutti in cucina, le sbucciamo, le dobbiamo mangiare noi, ma dobbiamo mangiare una minestra pulita e non con patate marce, congelate, piene di fango”.
D’altra parte c’era la maggioranza che invece i pacchi non li riceveva: tutti i meridionali, (io per esempio ne ho ricevuto uno perché avevo uno zio in Piemonte) non ricevevano niente, e avevano la fame che avevano prima, e con la fame che avevi, giravano sì, non si sentiva più il sapore di fango o di patate marce, non si sentiva più niente. Si cercava solo di mettere dentro la pancia qualche cosa, e ci opponevamo a questo fatto di volere sbucciare le patate. Cosicché dovemmo fare una specie di referendum, e facemmo un referendum e siccome quelli che non avevano i pacchi erano in maggioranza, continuammo a mangiare le patate col fango e con le bucce, perché nella minestra, di patate di quelle buone non si vedeva niente che si scioglieva nell’acqua, ma le bucce rimanevano, però mangiavamo le bucce!. Questo, per inciso perché è un fatto … ecco.
Un’altra cosa già che sei qui, un fatto personale ma non è che l’abbia fatto solo io, l’han fatto anche tanti altri … Alcuni pacchi, contenevano pane secco, ma forse per aver preso un po’ di umidità aveva fatto la muffa, chi lo riceveva, cercava di mangiare il pane dalla parte buona scartando la parte ammuffita ecc.; invece di dire, lì dove eravamo “chi vuole mangiare il pane ammuffito”, non sentendosela di fare un’offerta del genere, prendevano questi rimasugli, questi ritagli, e l’andavano a buttare nelle latrine, fuori dalle latrine, li buttavano li. Ebbene io sono stato uno di quelli che è andato a racimolare pezzetti di pane ammuffito in prossimità delle latrine!
Racconto l’ultimo fatto e poi continuiamo con le cose serie, giusto così: queste sono quasi barzellette; io stesso stento a crederci ma avendo avuto la conferma dai libri e dai colleghi che dicono le stesse cose, mi sono dovuto convincere, non me lo sono sognato, effettivamente è stato così.! Lì c’era un gran mercato con i soldati tedeschi: anelli, catenine, orologi, qualche capo di vestiario ancora in buona condizione, in cambio di pane. Io ero rimasto senza niente, avevo solamente un orologio; ma l’orologio a un certo momento ho detto “che me ne faccio? Tanto qui non è che devo prendere i treni o che, l’orologio il tempo passa così come passa, l’orologio non mi serve!” E decisi di cambiarlo con un po’ di pane e mi accordai con un soldato tedesco di quelli che giravano intorno, mi disse: “Sì va bene” e ci accordammo per una pagnotta di pane; l’orologio per una pagnotta di pane!. “Ma io, non lo posso mangiare l’orologio, la pagnotta sì!” E feci questo cambio. Senonchè era quel pane, che non era pane: ma forse, con quelli lì ci si poteva costruire delle case, fare dei muri, … così ma … in quanto a mangiare era proprio un mattone di quelli fatti con un miscuglio di segala, crusca, melassa, non so come facevano a fare questo pane, proprio era duro come un mattone; comunque, era meglio di niente!
Feci questo cambio: lì per lì venuto in possesso di questa pagnotta di pane, lo tagliai in tanti pezzi perché lo dovevo “Ne devo mangiare uno al giorno”, tirare avanti il più possibile! Finito il primo pezzo, era come se non avessi mangiato niente tanta era la fame arretrata! Ma è meglio che ne mangio un altro pezzo va, perché se no è inutile; se devo continuare a sentir la fame, vender l’orologio non è servito a niente!”.
Un pezzo un pezzo un pezzo, un pezzo tira l’altro… A un certo momento ebbi la brutta idea, dico: “Bene per rendere il pane un po’ più saporito ci misi un po’ di sale”; mangiai il pane col sale, me lo mangiai tutto; una cosa incredibile: una pagnotta di pane avrà pesato due com’era, o più d’un chilo! Non so … nel giro di un pomeriggio e alla sera, l’ho mangiato tutto! Per giunta ci misi il sale e dopo di che mi venne una sete terribile! E allora, mi attaccai alla fontanella dove c’era l’acqua e continuavo a bere a bere e a bere, alla notte ebbi una colica, credevo: “questa volta, è la volta buona che me ne vado e non se ne parli più! Credevo proprio di scoppiare!” M’ero gonfiato tutto, perché quella roba lì, s’era gonfiata con tutta l’acqua che avevo bevuto, perché avevo dovuto bere perché c’avevo messo il sale, brutta idea ma ce l’avevo messo!
Com’è stato come non è stato, son riuscito a smaltirlo, e passati i dolori mi son sgonfiato e arrivederci. Comunque, contro il valore di un orologio ho fatto fuori in una sera per poi star male, stavo peggio con i dolori che non con la fame! Beh insomma: sono cose che capitavano a tutti! Poi i fatti incresciosi che succedevano: c’era chi aveva tanta volontà da riuscire a mettere da parte di quel poco pane che si riusciva ad avere a mezzogiorno, lo mettevano da parte un po’ per la sera e addirittura un po’ per la mattina dopo per colazione. Se nonchè accadeva che qualcuno se ne accorgeva, e c’erano dei furti. Gente che andava a rubare il pane di chi l’aveva messo via per mangiarlo alla sera, con delle conseguenze indescrivibili!: delle liti, baruffe, pugni, calci, invettive di tutti i colori; questo tra ufficiali. Sarebbero dovuti essere delle persone perlomeno un tantino, non dico tanto ma almeno un po’, un tantino al di sopra del… Non so di chi, dei barboni o degli o degli scaricatori di porto!, senza offendere nessuna categoria. Comunque succedeva anche questo! Ma poi come dico ne succedevano tante che starne a parlare si farebbe notte ed è gia fatto, si farebbe giorno! Va bene.
Allora torniamo lì a quel campo lì, dove c’erano le pulci, e ci trasferirono, ci trasferirono a Oberlangen che era appunto il campo di punizione perché oramai avevano capito che più nessuno di quelli lì oramai avrebbe aderito alla Repubblica sociale o che …

 

In quanti venite trasferiti a Oberlangen ?

Ma, a Oberlangen eravamo in tanti, perché le baracche erano tante e fitte! Eravamo in trecento dentro a ogni baracca; baracche da trenta persone eravamo in trecento, quindi, pieni zeppi così …
E lì come dico, la vita era pressoché impossibile sotto tutti gli aspetti fino al mangiare. La faccenda della salute era quella che era: se uno si sentiva male, doveva solo aspettare di morire, perché cure non ce n’erano, medicinali meno che meno. L’unica cosa che ci sollevava un po’, era il fatto che tra noi c’era della gente che si dava da fare per tirar su il morale, per non abbattersi, per … si dava veramente da fare a sostegno di tutti gli altri: dei depressi, di quelli che stavano male ecc. Devo dire che tra l’altro io sono stato, adesso non mi ricordo bene in quale campo, ma son stato in un campo dove c’era Guareschi. Insieme a lui c’erano altri che alla sera davano lezioni in parecchie materie, davano lezioni di parecchie materie: di storia, lezioni di italiano, eccetera. Tanto così per passare il tempo. Per il resto poi si passava il tempo stando distesi nella branda perché forza non ne avevamo più! Io mi ricordo in particolare, nei campi lì, non so com’era, come fu che lì sul prato fuori dalla baracca c’era un pallone, pallone di quelli leggeri tra l’altro, io lo vidi e così istintivamente andai là per dare un calcio a quel pallone, ma ero talmente debole, talmente squilibrato che il pallone è rimasto lì e io son finito in terra a faccia avanti perché… Era un pallone non era una pietra no … non riuscivo neanche a muovere il pallone e mi son trovato in terra in quella maniera. Va bè … Va bene.
Le condizioni erano quelle lì, che peggiorarono appunto nel campo di Oberlangen, per il fatto che erano decisi a portarci al punto che erano decisi a portarci al punto di dover accettare qualunque loro decisione. E la loro decisione era quella di smistarci in vari posti dalla Germania a lavorare o a fare …: “andate a lavorare, se non lavorate vi diamo delle legnate, non vi diamo da mangiare…”, per cui insomma, il lavoro coatto, ecco.
Allora, siccome, dalle voci, dalle voci passarono poi ai fatti, incominciammo proprio a vedere la gente che partiva. E allora, io, non mi ricordo bene il perché e comunque, allora pensavo che partire insieme a tanti altri, sarebbe stata una condizione sfavorevole diciamo … rispetto al fatto di riuscire a partire da solo. Perché dico: “se parto da solo che cosa mi fanno? Sto qui m’ammazzano ma più di tanto non possono fare, però forse se sono solo posso gestire la cosa a mio modo” allora chiesi di poter parlare con il comandante del campo; e lì c’era sempre l’interprete, erano tutti altoatesini bolzanini, lì chiamavamo noi; e non erano ben visti perché erano tutti dalla parte dei tedeschi, chissà perché volevano fare l’interprete anche da parte nostra! No, erano tutti dalla parte dei tedeschi o forse per rimediare un po’: per una vita più tranquilla … non lo so … va bene! Comunque tramite l’interprete, dico: “sì … visto che tanto dobbiamo andare a lavorare per forza, farci mandare di qua,… farci mandare di là …”, dico: “io, desidererei essere mandato in un posto, scegliete voi dove, ma da solo; se sapete che qui da qualche parte c’è bisogno di qualcuno isolato, mandatemi lì e poi dopo vedrò”; e fui accontentato e da lì mi mandarono a Wueppertal, Wueppertalbarmen (?) E avrei dovuto lavorare in una industria di apparecchiature per l’industria chimica: erano delle grosse caldaie, cose enormi: industria metallurgica.
Quando arrivai lì, mi dissero subito: “e allora deve andare a lavorare là dentro”; come entrai là dentro, sembrava un inferno: facevano le giunture di queste caldaie con quei martelli pneumatici; con i bulloni arroventati, che poi li ripartivano con una specie di pneumatico. Quindi, figuriamoci il fracasso che c’era là dentro con queste caldaie, questi recipienti che rimbombavano! Iinsomma una cosa da impazzire! Io son rimasto lì pochi minuti poi dico: “beh, tanto!” Io dico: “Oramai è un’anno e mezzo che dico che non voglio lavorare e questi pretendono che io lavori qui … ma qui son tutti matti!”
Uscii da lì e andai a parlare con il padrone, il quale padrone, aveva la casa lì dentro il recinto dello stabilimento. Però andargli a dire… dico: “Io non sono un lavoratore volontario anzi io mi sono sempre opposto quindi, desidero continuare a non lavorare: tanto più là dentro, là dentro non ci resisto, così ho deciso non ci sto e non ci vado”.
Ebbi la fortuna di trovare una persona abbastanza … tant’è che mi disse: “se vuoi io c’ho qui il distintivo nazista ma io sono contro”, io dico: “beh meno male”, …
E qui questo qui mi disse: “beh va bè … va bene”; allora invece di andare a lavorare lì, andrò secondo gli ordini a lavorare all’ufficio tecnico come disegnatore.
Dico: “Ma guardi che io non lavoro … non posso lavorare perchè oramai io ho deciso, io non posso collaborare, non lavoro per la Germania. Quindi qualunque cosa mi fa fare io non la faccio o la faccio malamente quindi”. “Va bene” dice: “faccia quello che vuole”. Poi ebbi anche un’altra fortuna che era il segretario di questo signore, era una brava persona, perché lì, la condizione era sempre quella lì: che se io non lavoravo, secondo gli ordini, io non dovevo neanche mangiare perché io non avevo aderito a nessuna cosa, non avevo un documento; dovevo star dentro ed ero sorvegliato da un sottufficiale della Wehrmacht; perché veniva giornalmente a trovarmi e a vedere se ero lì, perché io ero considerato sempre Internato Militare. Loro dicono adesso prigioniero di guerra: non è vero perché noi quelle condizioni di degenero che riguardavano i prigionieri di guerra, non ne avevamo mai sentito parlare, non abbiamo ricevuto mai niente e nessuno, non abbiamo mai visto nessun rappresentante della Croce Rossa; quindi non è vero che noi eravamo prigionieri di guerra e se i tedeschi oggi lo affermano, affermano il falso.
Affermano il falso perché non vogliono sborsare i quattrini, e va bè. Sarà una giustificazione ma è così!
Però farebbero meglio a dire, farebbero meglio a dire “non abbiamo i soldi; a sessant’anni di distanza ringraziate ancora che siete in vita! Che cosa volete? Volete indennizzi?”
“Non vi diamo niente!” ditecelo!!
D’altra parte, fino quando non è saltata fuori la cosa nessuno di noi ha cercato qualche cosa, anzi nessuno ha cercato niente! Quindi: l’han tirata fuori per far che cosa! Per farci diventar matti? C’han fatto mettere lì pile di carte scritte! Scritte tramite raccomandata, lettera, tra raccomandata e lettera, tra una cosa e l’altra chissà quante ne ho scritte, ma … poi hai detto tutto per niente; va bè, pazienza.
Allora, come dico, questo padrone della fabbrica mi disse: “visto che lei è ufficiale dell’esercito, eccetera perché, insomma, c’avevo ancora qualcosa d’ufficiale: c’avevo i pantaloni, gli stivali tutti senza fondo perché continuavo a mettere dei pezzi di cartone dentro, avevo la giacca con i gradi, le stellette, e la bustina; non avevo niente altro. Dissi: “mi farebbe un gran favore se tenesse d’occhio gli italiani e tutti gli altri stranieri” che erano lì in un campo, che erano tutti lavoratori della fabbrica, e che poi alla sera si ritiravano; facevano anche i turni ma quando non lavoravano stavano dentro la baracca, lì mangiavano, gli portavano da mangiare, e siccome c’erano gli italiani, c’erano i francesi, olandesi, croati, polacchi e non so quanti altri: erano di diverse nazionalità insomma. Gli italiani erano ventuno o ventidue. Erano quasi tutti, forse tutti calabresi o siciliani: molti sottufficiali di marina mi ricordo. Specialmente i siciliani: tutti di Catania: delle brave persone, che poi tra l’altro mi hanno reso la vita abbastanza agevole perché sapevano che io il mangiare, dovevo rimediare in qualche maniera. Allora parte del loro mangiare me lo davano loro! Altrimenti io, mangiare, va bè … comunque, tirammo avanti in questa maniera se non che, lì nell’interno di questa fabbrica, di questo campo diciamo, c’era un commissario politico nazista, e come tutti i commissari politici, era un diavolo: una personaccia. Perché a parte il fatto dell’ideale, del fatto di essere nazista, ma era proprio cattivo d’animo.
Parlavo prima di gente buona e gente cattiva: ho trovato gente buona ma ho anche trovato gente proprio da ammazzare … perché non sono degne di vivere.
E’ arrivato questo qui a cacciarmi via dal rifugio, una notte che m’ha trovato lì, c’era un bombardamento in atto. Disse: “ah! Raus!” Raus!“ perchè io, lui sapeva che non volevo collaborare, che non volevo lavorare, … “questo è per gli operai … tu via fuori!” m’ha cacciato fuori dal rifugio sotto i bombardamenti, io, non è che mi fossi impressionato più di tanto perché tanto se arrivavano quelle bombe, delle “Luftminen” da quattromila chili, se arrivava una bomba di quelle lì sul rifugio, rimanevano tutti là dentro.
Allora io di questo fatto ne parlai il giorno dopo e ne parlai con quel sottufficiale, che era il mio guardiano, e gli dissi: “Sai è successo così…” Non so come li chiamavano, “Dagfurer” (?) non so, c’è l’allarme, c’è il bombardamento e non vuole che io vada al rifugio, “ io dico dove vado? Aspetto quelle bombe che m’arrivano sulla testa! “Vai”! dice, “Cercherò di parlarci io, ma nessuno poi c’ha parlato, quello lì, duro!… Niente da fare! Allora chiesi io: “Senta quando c’è l’allarme dica ai guardiani che mi lascino uscire, che io vado in campagna, sto fuori fin che dura l’allarme e poi rientro”. “No, … ma in campagna non si può, perché, poi lei scappa!” Ma dove scappo! Cosa faccio? Faccio la strada a piedi per tornare in Italia? Va bè che c’erano le ferrovie tutte distrutte, non c’era … Dico: “No stia tranquillo che non scappo, solamente che non mi va di stare dentro qui c’è la fabbrica, bombardano la fabbrica, io sto qua così ad aspettare la bomba! Beh insomma! Ma io, le do la mia parola d’onore che, torno indietro, finito l’allarme, torno indietro”.
E questo acconsentì. Andò a parlarne ai guardiani, e disse: “sentite quando c’è l’allarme lasciatelo uscire che poi rientra; se non dovesse rientrare mi telefonate che lo faccio ricercare e …” Insomma … una precauzione.
E in questa maniera io riuscii a tirare avanti un po’ meglio. Nel senso che, andavo per le campagne e lì c’era una gran produzione di patate. Le patate, i contadini le raccoglievano, così, con mezzi meccanici … non so come fanno, non andavano a raccoglierne una per una. Per cui molte ne rimanevano lì sul terreno. Quando pioveva queste patate si lavavano, e da lontano si vedevano tutte queste patate lì sul terreno. Dico: “Ma noi siamo gli unici che moriamo di fame e qui c’è tutto un ben di Dio, a perder tempo!”
Poi riuscii a parlare col padrone, gli chiesi: “Ma io posso prendere un po’ di patate se lei non le raccoglie?” “Si, si, lei può prenderle tutte, tanto noi non le raccogliamo più e quelle sono quelle che son rimaste”.
Allora io ogni volta che c’era l’allarme uscivo, portavo il sacchetto, e poi due sacchetti di patate, li portavo indietro, poi li davo agli altri amici italiani, ad altri olandesi … quello che era, poi lì si cucinavano e si mangiava tutti insieme.
Una volta, è successo che io, rientrando con questo sacchetto di patate, incrociai quel signore lì: era il comandante politico della fabbrica. Alcuni hanno un nome particolare non mi ricordo adesso.
Comunque: mi ha preso le patate, me le ha requisite e mi ha denunciato. Mi ha denunciato per il fatto che io ero andato a rubare le patate, che ero uscito dal campo senza permesso, poi ci hanno aggiunto una serie di cose. Allora io, quando venne quel sott’ufficiale gli raccontai il fatto.
E lui disse: “Ma guardi, non si preoccupi … adesso ci penso io, per il permesso glie l’ho dato io, lei è rientrato sempre regolarmente quindi non hanno niente da dire! Lui piuttosto l’ha cacciato via dal rifugio, dovrà rispondere il perché l’ha cacciato via dal rifugio. Per quanto le patate, ci sarà la testimonianza di quel contadino che ha avuto l’autorizzazione a prenderle fra quelle abbandonate”.
Subito mi chiamarono, c’erano lì una specie di tribunale militare, c’erano gli ufficiali tedeschi, presero una specie di interrogatorio, eccetera, c’era quel sottufficiale mio guardiano, c’era quell’altro per l’accusa, per avermi visto rientrare con le patate, e avevano anche fatto arrivare quel contadino a testimoniare che io gliel’avevo chiesto di prendere le patate. E in questa maniera, mi salvai. Nel senso che diedero torto a quello lì, che tutto era in regola, che io non ero perseguibile. M’han lasciato libero di tornare là dentro, e continuare a fare quello che facevo prima.
Un bel giorno mi mandarono a chiamare al comando militare: arrivo lì, e c’erano lì un paio di ufficiali tedeschi, c’era l’interprete e incominciarono a dire: “Sappiamo che lei non vuole collaborare, non vuole lavorare”, … “Certo, dico ma non è una novità! Ormai è un anno e mezzo che ci perseguitate con questa prova quando noi continuavamo a dire: No! No! No! Io ebbi una decisione a vostro favore o contro non ve l’ha posso dire, la prendo se voi mi portate in Italia, nell’Italia del nord. Non occorre che voi mi portiate al di là dell’Italia occupata, portatemi in Italia … in Italia del nord, mi lasciate libero e io da persona libera deciderò: se andare con la Repubblica sociale, venire con voi, collaborare con voi, quello lo vedremo dopo; ma qui io continuo a dire che non lavoro, non opto né per la Germania, non opto per la Repubblica sociale. Fate quello che volete, ma io non…”
A un certo punto è successo un fatto indescrivibile, una cosa quasi da sogno, è quello che io molte volte ne dubito, questo ufficiale ha tirato fuori la pistola., dice: “O lei aderisce o altrimenti io sparo”.
“No, lei spari perché tanto io non ho mai pensato di tornare vivo in Italia, in un modo o nell’altro, tra bombardamento e quello che succede... Spari pure! Però guardi che dopo che avrà ammazzato me dovrà ammazzare anche i testimoni, perché questi testimoni diranno che lei mi ha ammazzato senza nessun motivo, solamente per una questione ideologica”. Ha messo via la pistola. “Raus! Raus!” E mi ha mandato via.
Un altro fatto che è stato molto importante ma, come dico rientra in quelle cose, in quelle cose quasi leggendarie. Insomma io le racconto perché effettivamente son successe però, a un certo momento quasi quasi stento a crederci anch’io.
Quando gli alleati varcarono il Reno, formarono una testa di ponte, che da sud, mi pare all’altezza di Colonia, a nord all’altezza di non ricordo quale città, di Bonn forse … o una o l’altra, insomma varcarono il Reno, fecero una grande sacca, si ricongiunsero le forze alleate a Kassel che si trova dal Reno almeno a settanta –ottanta chilometri forse anche più; forse anche cento chilometri; proprio una sacca enorme, e presero un mucchio di tedeschi dentro, circondati. E poi incominciarono a premere a premere, a premere, e a premere, finchè tutti questi tedeschi, quelli che erano rimasti, che non erano morti o che non si erano arresi o che erano fatti prigionieri, si raggrupparono tutti a Wueppertal, dov’ero io, e dove erano anche gli altri logicamente. E lì per tre giorni ci fu un bombardamento, un cannoneggiamento con i carri armati: sparavano con le artiglierie, perché tutti questi tedeschi si erano concentrati lì a Wueppertal.
Noi, non ci rimase altro da fare che andare negli scantinati e rimanere lì a sorbire questi bombardamenti, questi cannoneggiamenti senza poter uscire perché era estremamente pericoloso uscire.
Finchè il lunedì 16 aprile, alle ore sei del mattino, improvvisamente cessarono tutti i cannoneggiamenti, le bombe, cessò tutto; silenzio assoluto. Allora, ci guardammo in faccia e ci dicemmo: “Ma cosa è successo? Qui è successo qualcosa di grosso! perché così all’improvviso ha smesso …” E mettemmo fuori la testa per vedere cosa era successo, cosa era successo. Che di lì i tedeschi s’erano arresi. Allora abbiamo assistito a tutto un fuggi fuggi: le armi buttate, camion incendiati, una cosa … quello che può accadere quando un esercito è in disfatta, in rotta … Non potevano scappare perché erano tutti circondati, arrivarono gli americani e fecero tutti prigionieri, li incolonnarono e poi li portarono via eccetera.
Gli americani vennero anche da noi, o da una parte o dall’altra vennero a parlare con noi, ci dissero: “Noi non possiamo stare dietro a voi perché dobbiamo continuare la guerra”; perché la guerra … era poi aprile, la guerra quando è finita poi … a maggio, a giugno … “dobbiamo continuare la guerra: quindi voi, adesso i tedeschi non ci sono più: voi siete liberi, avete tre giorni di carta bianca; fate quello che volete. Avete delle vendette, dovete ammazzare qualcuno perché vi ha …? Fate quello che volete”. Beh questo, questo l’hanno fatto solamente i russi: i russi han fatto … si son vendicati contro qualcuno che gli aveva angheriati o che …, si sono vendicati di brutto, noi, come soliti italiani …, via il dente via il dolore, non c’abbiam più pensato, abbiamo pensato a tutt’altre cose: abbiam pensato a racimolare un po’ di cibo da mangiare perché gli americani c’han detto: “Vi dovete arrangiare perché noi non vi possiamo assistere …”.
Mi sono dimenticato di un fatto: poco prima avevo cominciato con gli alleati che avevano costituito questa testa di ponte. Nell’indietreggiare, le truppe tedesche che indietreggiavano dal Reno verso l’interno, per tentare a sfuggire quando la sacca non era ancora chiusa, di uscire da questa sacca, portarono dietro, tutti i lavoratori italiani che erano al seguito delle truppe tedesche, per la costruzione di trincee che erano, erano … quello che dice Ciampi, è poco rispetto a quello che hanno patito quella gente lì, che adesso i tedeschi non vogliono riconoscere!
Ora: noi eravamo tutti fuori dalle baracche, lungo tutta la rete, a vedere tutto ‘sto passaggio delle truppe, di questa gente che passava che andava verso l’interno. A un certo momento abbiamo riconosciuto un soldato, un calabrese, che era uno dei nostri, uno del nostro Reggimento: non era della mia batteria era d’un’altra batteria; che comunque noi conoscevamo: eravamo stati i primi tempi insieme ecc. ecc. Questo qui, era niente di meno che un reduce di Cefalonia: reduce di una nave sulla quale era stato imbarcato e che poi era stata affondata dai tedeschi. Questo qui, a nuoto non so come ha fatto, era riuscito poi a salvarsi e poi dopo da lì, ha seguito la sorte di tutti gli altri. Quindi ha cominciato proprio ad essere disgraziato già da allora! L’unica fortuna è quella di non essere stato ammazzato come gli altri! Questo qui però a seguito di queste disavventure, di questo naufragio, le paure che ha avuto eccetera, era diventato un po’ … cioè non ci stava più tanto con la testa! E allora nei vari trasferimenti che subimmo, poi lui per conto suo insieme agli altri soldati eccetera, era uno che, non è che se ne fregasse di quello che dicevano i tedeschi, ma era uno che non riuscivi a starci dietro! Faceva delle cose strane perché la sua testa gli diceva di …
I tedeschi: quando non sapevano né leggere né scrivere, dicevano che era un sabotatore, che era qui che era là, campo di punizione, campo qui, campo là, a lavorare nelle trincee ecc.ecc., insomma: fatto sta che vedemmo questo soldato passare, l’abbiamo riconosciuto non so come perché era irriconoscibile: dimagrito, sporco, tutto infangato! Tutta una cosa, una cosa indescrivibile anche perché come dico, era mentalmente non più in condizioni di badare a se stesso, anche se avrebbe avuto poco da badare … con quello che gli facevano fare! E allora visto in questa maniera, andai a parlare con i guardiani lì che erano proprio lì sulla porta, dico: “C’è un mio amico lì che sta passando, non possiamo farlo entrare qui dentro?” Quello lì m’ha guardato un po’ e dice: “ma …”.
Dico: “Guardi non c’è pericolo di tedeschi non ce ne sono in giro, erano tutti civili”. “E beh” dice: “Va bene”.
L’abbiamo preso, è venuto dentro, lui c’ha ringraziato eccetera, era tutto contento di averci ritrovati ecc. ecc. Quello che abbiamo dovuto fare per ripulirlo un po’, sotto la doccia lì, con le spazzole, era tutto incrostato, era anche ferito, si vede che gli devono aver dato anche delle botte, non so … proprio una cosa paurosa! Poi è sorto il problema del fatto che non potevamo tenerlo lì: allora, io pensai “Al primo allarme, che tra l’altro c’era come dico tutti i giorni, tutte le notti … c’era sempre l’allarme; con il fatto che io avevo sempre il permesso di uscire, vedrò di fare qualche cosa”.
Girando per le campagne trovai lì un cascinale, una fattoria o che, mi avvicinai, trovai lì un signore abbastanza anziano, c’era lui, la moglie e due figlie due ragazze, tra l’altro due belle ragazze, e io, in quei tempi lì, anche perché a scuola avevo fatto due anni di tedesco ma non è che sapessi molto parlare tedesco però insomma, riuscii a farmi capire a dire qualche parola, insomma: qualcosa capivo … poi con la permanenza lì in mezzo, perché si parlava tra noi in italiano, ma qualche volta coi tedeschi bisognava sforzarsi di parlare il tedesco, insomma: riuscii poi a farmi capire. Riuscii a dirgli: “Ma lei che lavoro fa qua?” dice: “E io faccio il contadino, però faccio più che altro il carbonaio, taglio la legna faccio il carbone”. “E non avrebbe bisogno di una persona che la aiuta?” E dice: “Perché, lei vuol venire qui?” Dico: “no, io no … guardi io no … però c’è una persona che…
Era un posto molto isolato di giorno, un bosco diciamo; che probabilmente i tedeschi non sarebbero mai andati lì a cercarlo. Per cui dico: “Logicamente deve rimanere qui nascosto”. Dico: “Lei se la sente? Dice: “Ah sì oramai …”. Contro i tedeschi contro il nazismo: “Sì oramai è già andata”.
“Sì, sì … se me lo porta qui…”.
Allora una sera di notte, durante un allarme, feci modo di aspettare il momento di poter uscire senza essere insultato, e uscii con questo qui e lo accompagnai da questo signore e lo lasciai lì.
Lo lasciai lì e … poi non ho saputo più niente.
Arrivati gli americani dopo la liberazione, mi venne in mente. Dico: “Chissà che fine ha fatto quello … quel tizio là che ho accompagnato!” E volli andare a trovarlo, a vedere se si è trovato bene, se è ancora lì o che … e andammo; andai io e un altro amico, andai a trovarlo.
Lo trovai lì, s’era rimesso a posto! Lì, … tutto bello euforico … Lì il padrone, i ringraziamenti che dice che era un lavoratore, che era uno che sapeva anche il mestiere si vede che faceva il carbonaio lì in Calabria, o che…, tutto contento, ci invitò a pranzo, ci fece fermare, ci fece una gran festa, tirò fuori delle bottiglie che aveva in cantina, mangiare e bere, con l’invito di tornare lì in cantina tutte le volte che volevamo … anche poi dopo quel fatto che c’erano due ragazze ci mettemmo lì con la musica a ballare, insomma facemmo una gran festa.
Ringraziai e dissi: “questo mio amico, che è stato qui con lei, a meno che lui non voglia rimanere definitivamente qui in Germania, ma se vuole tornare in Italia deve tornare con noi”.
Tornare con noi perché fa: “tra un po’ faranno le tradotte per riportarci in Italia”. Quindi se sta qui nessuno lo viene a prendere e rimane qui e se vuole venire in Italia deve venire con noi. Allora dice: “Si beh va bene quando incominceranno con le tradotte, venite qui a prenderlo e portatelo via che tanto oramai la guerra è finita e va bè …” E così fu … fu che lo riportammo lì insieme a noi.
Tra l’altro nel frattempo cambiò l’occupazione: agli americani subentrarono gli inglesi.
Gli inglesi vollero costituire dei campi separatati: italiani dai russi, dai francesi o che; e noi eravamo in un campo di italiani, in una ex fabbrica chimica: era una fabbrica di colori, quella roba lì. E questo venne lì con noi. Per dire quanto disgraziato è stato quell’uomo, cosa succede: un giorno, vengono di corsa a chiamarmi, dice: “c’è stata una disgrazia!” Cosa è successo: è successo che uno di quelli che stavano lì, perché lì avevamo tutte le armi che avevamo prese dai tedeschi, eravamo tutti armati. Ma io mi ero accontentato di riprendermi la pistola uguale a quella che avevo io … ma altri addirittura con mitragliatrici … una cosa, … quello che è successo in quel periodo è indescrivibile.
Comunque cosa è successo; stavano manovrando una pistola, questo qui, uno aveva la pistola in mano, questo qui ha detto: “fammela vedere”; l’ha presa dalla canna, quello lì c’aveva il dito sul grilletto, ha tirato, c’era il colpo in canna e è partito il colpo. Di colpo l’ha preso in pieno sulla pancia. Allora, mandai a chiamare, questo qui era lì steso sul letto, tutto bianco, sembrava mezzo morto oramai, comunque feci in modo di telefonare a un mio amico: un tenente medico, che veniva spesso a trovarci per sentire poi se qualcuno stava poco bene, o se aveva bisogno di qualche cosa, sapevo dov’era, avevo il numero di telefono, gli telefonai di venire con urgenza perché era successo questo fatto. E’ arrivato: lui aveva anche la macchina l’ha caricato in macchina, l’ha portato all’ospedale; l’ha assistito all’intervento chirurgico, fatto sta che l’han salvato. Gli aveva perforato l’intestino, non so quella pallottola lì come sia successo.
Se non chè arrivò il tempo del rientro e non ho più saputo niente: non ho più saputo se è rimasto in Germania, se poi è rientrato o che. Io mi interessai e mi dissero che stava meglio, che era in via di guarigione, ma stava ancora in ospedale.

 

Mancano ancora due minuti.

Ancora due minuti. Bene: lì siam stati dalla liberazione, cioè dal 16 aprile del ‘45 fino alla fine d’agosto, sempre del ‘45.
In quel periodo lì ci portarono a Duesseldorf dove c’era la formazione delle tradotte; ci imbarcarono con la tradotta, per l’Italia; ci fermarono a Buchenwald per la disinfestazione: ci fecero fare la doccia di Ddt, ammazzarono tutte le bestie, per poco ammazzavano pure noi. Il Ddt tra l’altro era proibito che ormai …Comunque ci hanno ripulito in quella maniera, poi abbiamo preso ancora il treno e ci siamo fermati a Pescantina, dove c’era il centro di smistamento. Pescantina stava lì sopra a Verona, lì c’era uno smistamento.
Lì ci diedero da mangiare, ci diedero mi pare 50 lire, per il resto mi dovetti arrangiare a tornare a casa; per cui “trovate qualsiasi mezzo”: treni, dove ci sono o non ci sono, 50 lire dovevano bastare per comprare qualcosa da mangiare e tornare a casa; io passai per Ancona dove avevo dei parenti.Con i treni un pezzo per volta arrivai a Ancona.
Arrivai ad Ancona suonai lì, in casa dei miei zii, c’era una mia cugina, tra l’altro aveva un fratello anche lui prigioniero degli americani, un ufficiale di marina, e quando questa mia cugina mi ha visto conciato in quella maniera, dice: “Senti … stai fermo li e non entrare. Adesso ti porto dei panni, spogliati che ti metti altri panni……”