Intervista alla sig.ra H. Ina, Odessa (Ucraina), 1925
Civile, catturata a Kirowograd (Ucraina) nel luglio ’42, deportata a Frankfurt am Main e Linz, lavoratrice coatta presso la famiglia di un ufficiale della Wehrmacht e presso le ferrovie dell’Austria.
Pieve Emanuele (MI) 8 dicembre 2003.

 

Mi dica come si chiama e dove è nata.

Mi chiamo H. Ina, sono nata a Odessa in Ucraina nel 1925, 29 ottobre.

 

Mi può dare un quadro, a grandi linee, della sua infanzia, della sua famiglia, e dell’Ucraina?

Beh i miei genitori erano… Mio papà era un ingegnere, mia mamma era un’insegnante.
Mentre l’infanzia l’ho trascorsa naturalmente come tanti altri bambini in Ucraina, Odessa, studiando, poi è scoppiata la guerra e mi han deportato in Germania nel ‘42.

 

In che mese?

Mese di Giugno o di luglio del ‘42 a Frankfurt am Main.

 

Ci può raccontare il momento della cattura?

Dopo l’occupazione dell’Ucraina dalla parte delle… delle truppe germaniche, avevano bisogno di manodopera per lavorare negli stabilimenti, in agricoltura o ovunque perché gli uomini erano impegnati in guerra e mancava la manodopera perciò rastrellavano la gioventù, specialmente i giovani, in Ucraina e facevano delle… delle… tradotte nel carro bestiame naturalmente, non nei treni, treni merci e son partita da Petrograd [probabile nome attuale: Petrovka nella provincia di Odessa. N.d.r.] nel tempo di guerra ero a Petrograd anzi i due anni precedenti la mia famiglia è stata trasferita per… per lavoro a Kirowograd [probabile nome attuale: Kirovohrad. N.d.r.] che non si trova lontano da Odessa, circa duecento chilometri in centro di Ucraina, verso il centro. E di lì ho impiegato quindici giorni per arrivare a Frankfurt am Main in Germania dove c’era un grandissimo campo di raccolta. Sarà stato un campo di circa ventimila deportati e… ci disinfettavano, ci spogliavano, insomma…

 

Vi fotografavano e vi davano il numero?

Non ci davano ancora il numero. Lì eravamo soltanto fotografati e… e spogliati, disinfettati e tutte queste cose qui, con visita medica perché avevano già fatto visita medica precedente in Ucraina per esser sani, per poter lavorare naturalmente, non deportare malati. E… lì arrivavano da tutta la provincia, provincia, dintorni non so, delle persone che sceglievano, ci mettevano tutti in fila nel piazzale di questo… di questo campo, tutti in fila, e passavano tra file e file tedeschi civili che sceglievano indicando col dito: “Questo, questo, questo”; e noi non capivamo il perché e il per come, ma ognuno si sceglieva diciamo un numero di manodopera. Ma queste scelte, quelli che sceglievano, diciamo persone civili tedeschi, erano piuttosto per agricoltura, lavori domestici, lavori negli ospedali di pulizia e cosi via. Erano piccole quantità di persone che portavano in altre città dopo. Invece quelli dell’industria che arrivavano a scegliere, non sceglievano, prendevano, non so, dieci, cinque, mille secondo le necessità di industrie. Io… si può dire che sono stata un po’ fortunata in questa scelta, perché là hanno scelto circa un sessanta, settanta ragazzi che eravamo lì soltanto ragazze, non… non i giovanotti. Gli uomini non c’erano perché erano tutti in guerra in Unione Sovietica, c’erano qualche ragazzo di sedici, diciassette anni al massimo, tutto il resto erano donne, ragazze, e le han portate, queste trenta o quaranta persone che han scelto, a Kassel, una città della Germania, e lì era in un altro campo più piccolo dove hanno stabilito come... che lavoro... dove mandare perché c’erano già richieste, richieste dei tedeschi che avevano il diritto a questa manodopera gratuita. Cioè praticamente, io che sono... un po’ parlavo tedesco perciò ho anche aiutato di, di… tradurre le cose. Son stata fortunata in questo perché m’hanno assegnato una casa privata di un ufficiale tedesco che era sul territorio del… del… della Francia. E’ stato rimpatriato perché era malato e avevano il diritto a un… un aiuto dalla parte… E assegnavano anche ragazze alle famiglie numerose perché la madre lavorava e badava ai bambini, alla casa e tutto il resto. Altre sono state assegnate nella lavanderia, negli ospedali e così via.
Attività diciamo non industriale. E così, sotto i bombardamenti, sotto coso, però son stata più fortunata nel senso che non sono capitata nei campi, nei lager veri e propri dove c’erano naturalmente in Germania, e c’erano i campi di deportazione che erano i Konzentrationslager dove portavano rasati a zero i capelli, maschi come femmine, e… e c’erano anche tedeschi in mezzo a loro e non soltanto stranieri, e ognuno sulla sua… sul suo camice, diciamo, quello a righe, aveva il segno per quale motivo è stato lì.
Gli ebrei portavano la stella gialla. I polacchi portavano su il rombo la “P” su il fondo… sul fondo giallo, giallo credo… Noi dell’Unione Sovietica portavamo quelli che erano deportati, “Ost”, quello che sarebbe “est” in italiano, su sfondo bianco e azzurro, di stoffa che si doveva appiccicare. Quelli che erano per la prostituzione nei campi, tedeschi, se le donne tedesche se… le prendevano anche se avevano relazione con stranieri, erano deportate in quei campi di sterminio anche le donne tedesche e portavano un triangolo nero.

 

Lei ha visto molti tedeschi in questi campi?

No, io in questi campi non sono mai entrata perché erano… erano recintati e… e… io sapevo naturalmente benissimo perché c’era qualcuno che dopo un po’ di tempo, uscivano i tedeschi stessi e raccontavano le cose che facevano. E naturalmente c’era anche il triangolo rosso che portavano, che erano politici tedeschi, come anche stranieri che erano…… Poi c’erano campi di prigionieri e… e campi di lavoro. Io… andavo sempre nei campi di lavoro per trovare un po’… così… persone della mia terra era… erano amici e così, che avevo il permesso, però dovevo essere sempre accompagnata da un tedesco che, c’avevo in questo caso di proprietà…della padrona diciamo dove lavoravo io, mi accompagnava in questo campo nel pomeriggio di domenica dove potevo conversare un momentino con… con altre ragazze deportate come me. E così un pochino, insomma mi sentivo… perché ero completamente isolata essendo in una casa privata che lavoravo. Fino all’ottobre... al novembre del ’43.

 

Quindi lei viveva a casa di questo tedesco con la sua famiglia.

Sì.

 

Come veniva trattata?

Beh, molto rigidamente. Non c’era confidenza perché anche loro dovevano trattare così. Però dopo quando passando un po’ di tempo e, così diciamo, era… almeno la padrona diciamo di, di, di... questo appartamento, era diventata un po’ più umana verso di me. Perché in definitiva non avevo che diciassette anni e non, non… non ero che una ragazzina e così, in più che mi sembrava una cosa troppo umiliante, nel senso che dovevo servire… mi ribellavo. Ribellavo e allora per spaventarmi una volta mi ha portato dalla Gestapo. E quando uno capita in questi uffici dove ci sono Gestapo è… un po’ pesante. Naturalmente per far che non mi ribellavo più a far certi lavori, certe cose, insomma… da ragazzina non è che mi rendevo nemmeno conto a che cosa andavo incontro se mi rifiutavo a far certe cose. E m’han spaventato talmente tanto perché m’han minacciato di portarmi nei campi di sterminio Konzentrationslager che era… e sapevamo tutti. Non è che i tedeschi poi finita la guerra dicevano che non sapevano di questi campi: non è vero perché sapevamo tutto di questi campi! Noi come loro, come tutto lo sterminio, è così.

 

Quindi sapevate dello sterminio degli ebrei?

Senz’altro. Già forni crematori sapevamo nel ’43, ‘44 sapevamo già che c’erano forni crematori. E in questi forni non andavano soltanto ebrei, ma anche… anche altri.
I prigionieri di guerra sovietici morivano nei campi di prigionia come mosche perché li trattavano malissimo! Non erano protetti dalla Croce Rossa perché Stalin ha rifiutato… ha rinnegato i suoi prigionieri di guerra. Han detto che aveva solo… che erano traditori della patria. Perciò non erano protetti da nessuno. Morivano di, di, di… di fame e di malattie intestinali perché insomma… gli davano da mangiare in condizione… che si ammalavano e morivano come mosche. Lavori più brutti, più pesanti li facevano fare a loro e poi, diciamo, dopo i sovietici erano trattati peggio anche i polacchi e… e via discorrendo altri… insomma anche europei ma… non così rigidi come verso i polacchi e i sovietici quelli che erano deportati.

 

Ritorniamo alla sua famiglia e al momento in cui l’hanno presa: cosa è successo? Ne erano a conoscenza i suoi genitori? Dalla Germania si poteva comunicare? Mi dà un quadro storico del periodo?

In Unione Sovietica le scuole erano molto valide. In quel periodo, il… ministro della pubblica istruzione era Krupskaia, cioè la moglie di Lenin. Lei ha impostato molto bene l’educazione scolastica, molto, molto bene dopo la rivoluzione. Perché c’era l’ottanta percento delle persone analfabete sul territorio russo, ucraino, insomma Unione Sovietica. Era obbligatorio, anche operai e contadini di fare scuole serali per alfabetizzazione. Mia madre, che era insegnante, dopo lavoro suo di insegnante elementare, lei la sera doveva ripetere questo insegnamento agli adulti che li raccoglievano andando per le case, insomma con dei… dei mezzi di trasporto dopo cena e li portavano nelle scuole per alfabetizzazione. Le scuole erano molto valide. Infatti insegnavano delle cose, prima di tutto han fatto alfabeto modificato, molto più… come devo dire…

 

Più semplificato?

Semplificato, giusto! Hanno tolto tante lettere dall’alfabeto russo pre rivoluzione che non avevano ragione di essere e hanno semplificato molto grammatica anche… essenziale. Perciò, studi erano molto severi, iniziando… quando… quando ero io bambina non ho iniziato con la prima elementare perché c’erano le classi preparatorie alla prima elementare. I ragazzi a scuola avevano colazione calda… una colazione calda servita come mensa, diciamo, durante orari nell’intervallo tra le lezioni. Era naturalmente non a pagamento, ma lo stato pagava questo. Scuole superiori erano altrettanto valide... scuole eran divise. Elementari quattro classi, tre classi di scuola media inferiore e tre classi media superiore, cioè dieci anni di scuola che erano contigue. Ogni anno dalla quarta elementare fino al decimo, erano, c’erano ogni anno esami. Si doveva, alla fine dell’anno scolastico si facevano degli esami… per accedere…

 

Mi scusi, ma gli anni di preparazione quanti erano?

Un anno. Si chiamava classe zero. E questo quando ero, poi è… è scomparso negli anni a venire, poi è scomparsa questa classe preparatoria. Questo diciamo negli anni trenta, ecco. Poi si aveva il diritto di accedere, dopo settima classe con esame di ammissione, a istituti tecnici. Istituti tecnici come anche magistrali e così via, ma magistrali per elementare, soltanto classe elementare. Se finiva la decima classe, sempre con esame di ammissione, avevano il diritto di accedere tutti, avevano il diritto a università e istituti sempre con esami. E concorsi erano molto, molto grandi anche, diciamo in media su ogni posto disponibile nelle prime classi, università o istituti tecnici, c’erano dieci concorrenti, perciò sceglievano i migliori, quelli che avevano avuto i migliori voti negli esami d’ammissione. Naturalmente il numero era chiuso, e iniziando dall’istituto tecnico gli studenti ricevevano stipendio dallo stato, oltre che i libri erano gratuiti e si pagava soltanto, si comprava i quaderni, diciamo questo tipo, ma i libri erano gratuiti. E c’erano presso ogni scuola, ogni istituto grandi biblioteche con i libri di testo. Se uno non poteva avere, diciamo, per tutto l’anno scolastico, li prendeva in biblioteca e li restituiva dopo quando non aveva più bisogno perciò le spese erano pochissime. Quelli che… gli istituti che entravano all’istituto… che erano fuori diciamo dal… dal… dalla città dove abitavano, dalla provincia che arrivavano avevano case dello studente gratuite anche quelle più la mensa che costava pochi centesimi per gli studenti. In questo senso l’Unione Sovietica era molto progredita e in pochi anni hanno liquidato analfabetismo con studi superiori molto, molto avanzati e molto validi. Perciò se non… non fosse stato obbligatorio per legge… questo… questa istruzione questa… l’Unione Sovietica forse non avrebbe raggiunto in pochi anni lo sviluppo industriale perché è un paese che era agricolo, assolutamente senza industrie, quanto… diciamo, prima della rivoluzione le poche industrie che esistevano in Unione Sovietica erano tutte industrie di stranieri tedeschi o… austriaci, inglesi, francesi, c’erano… c’era la società agricola. Grandi latifondai, diciamo, che passavano all’estero tutta la loro vita e i contadini morivano di fame. Perciò questo sforzo di… di… di… educare e anche… anche istruire, anche creare industrie pesanti, leggere e tutto il resto, è costato molto alla popolazione… popolazione civile. Naturalmente questi sforzi enormi, l’istruzione era obbligatoria per tutti. Non si poteva esimersi perché se i genitori per qualsiasi motivo anche nel più sperduto paese, non mandavano i figli erano passibili di arresto perfino! Non mandavano i figli a scuola. Studenti ricevevano uno stipendio, naturalmente non troppo alto però con aiuto, un piccolo aiuto anche da parte dei genitori riuscivano a portare a termine l’istruzione. Quelli che avevano possibilità naturalmente vivendo in città erano più agevolati in questo senso… in questo senso qui.

 

Qual’è il suo ricordo della scuola elementare e delle successive?

Beh, elementare avevamo, per esempio era scandalo in tutta Unione Sovietica, quarantacinque minuti di lezione e quindici di pausa. Più tra... perché erano quattro, quattro ore di studio elementare, in mezzo a queste quattro ore c’era anche mezz’ora dove si andava a far colazione, di pausa, mezz’ora di pausa dove si andava a far colazione alla mensa, colazione calda diciamo con un piatto caldo, qualcosa si mangiava. E invece nelle scuole, già dalla quinta che sarebbe la prima media italiana, avevamo molte discipline, specialmente discipline di carattere tecnico come matematica, tutta matematica, fisica, chimica, botanica, lingua russa, lingua ucraina, lingua straniera perché essendo io nata in Ucraina avevo tutti studi in lingua ucraina, naturalmente e lingua russa, studiavo come materia letteratura, lingua e tutto il resto. In tutta l’Unione Sovietica era obbligatorio studiare lingua russa, in tutte le pubbliche.

 

Si sentiva l’impronta del partito?

Sì molto, molto. Ogni scuola, ogni industria pesante, pesante, leggera, qualsiasi… ogni istituto e così via, al direttore didattico, o ingegnere in un industria che era direttore di fabbrica, era affiancato da un commissario politico. Non poteva mai prendere decisioni di tipo strettamente suo, di sua competenza se non andava approvato dal… dal commissario. Tanto è vero che anche l’Armata rossa, anche in tempo di guerra, anche in tempo di pace, ogni ufficiale di gradi superiore era affiancato da un commissario politico che doveva decidere di più che quello generale…

 

E nelle scuole?

C’era un piano che era per tutta l’Unione Sovietica che dovevano rispettare insegnanti. Dovevano rispettare questo piano e questo… questo… programma di studio per ogni classe, per ogni cosa. Però se c’era da prendere altri… provvedimenti altri… cosi che non congegnavano strettamente col programma scolastico, doveva decidere, prima del direttore, doveva decidere il commissario che era affiancato. Naturalmente era… nelle scuole era molto sviluppato lo sport, altri… altri circoli culturali che chi piaceva letteratura frequentava questo, chi piaceva… ragazzi chi piaceva… la musica frequentava questo, chi piaceva recitazione frequentava questi, sempre nella scuola. La ginnastica e lo sport era molto, molto rinomato e molto seguito, molto incoraggiato. Naturalmente il professore di educazione fisica sceglieva i migliori e li mandava in una città, diciamo, dove si occupavano dopo l’orario scolastico dove insegnavano più… allenavano ecco nelle discipline, diciamo, ecco di, di… particolari. E da questi davano possibilità a tutti di emergere perché erano completamente gratuiti e seguiti da professionisti in queste… in queste… materie e in questi studi. Perciò ognuno che… che vedevano che eccelleva nel, nel… o nella musica, o nel canto, o nel… nel nella ginnastica, o nello sport e proseguiva sempre a spese dello stato. Quando arrivavano ai vertici diciamo dell’insegnamento di qualsiasi di… queste discipline, erano stipendiati dallo stato. Perché non potendo lavorare, ma seguendo soltanto sport, musica o recitazione, diciamo teatri e così via, il balletto classico che era molto rinomato in Unione Sovietica e c’erano moltissimi bambini che gratuitamente studiavano presso i teatri queste cose. E erano, quando arrivavano più in alto, dai diciotto ai vent’anni in poi, erano stipendiati dallo stato per poter proseguire non a spese dei genitori perché non tutti naturalmente potevano pagare queste cose e poi erano gratuite a dire la verità. E niente, così era… così era la vita……

 

Anche lei faceva altre attività?

Ah, sì… a me piaceva molto la poesia, ho frequentato questi… questi circoli dove c’erano i veri attori del teatro che venivano nella scuola a insegnare recitazione o… recitazione anche delle poesie, ecco. Quando c’erano delle festività scolastiche o anche festività dello stato come il sette novembre che… la festività della rivoluzione di ottobre, il primo maggio e così via, capodanno e tutto… organizzavano, ed ogni scuola aveva la sua grande sala dove c’era un palcoscenico, facevano i cori anche il coro, diciamo… di ragazzi che sapevano cantare, chi recitava, chi… insomma, ognuno… ognuno faceva quel che poteva o queste… queste feste che erano scolastiche molto belle e non soltanto delle scuole elementari, ma seguiva, proseguiva tutto, tutto in generale, diciamo iniziando dalle… dalle elementari, iniziando nelle scuole, istituti e così via. Ognuno nel suo ambito faceva oltre gli studi, faceva questo tipo di attività. Perciò i ragazzi erano sempre… sempre impegnati in qualche cosa e non dovevano passare in mezzo alla strada il resto della giornata abbandonati a se stessi perché lo stato, insomma in quel senso lì, provvedeva a occuparli, ecco.

 

Mi racconta qualcosa della guerra?

Il ventun giugno del 1941, senza dichiarazione di guerra, i tedeschi han bombardato quattro città tra cui Odessa, Kirowograd, in Crimea, Brest e Mosca, naturalmente senza dichiarazione di guerra. Il ventidue ero a scuola a fare un esame, frequentavo il primo anno di magistrali, e mi ricordo come adesso sono uscita dopo aver fatto l’esame e ho sentito, perché allora in Unione Sovietica in tutte le città, c’erano altoparlanti dappertutto che trasmettevano come radio diciamo, altoparlanti attaccati ai pali della luce, e così, e… ero contenta che esame andato bene, con una mia amica ebrea, poverina purtroppo è stata eliminata subito, dopo nemmeno un mese di occupazione, e abbiamo sentito questa voce molto forte, diciamo, che annunciava invasione sul territorio sovietico; che il giorno dopo ha parlato Stalin addirittura in persona rivolgendosi a tutta popolazione sovietica dicendo che è scoppiata la guerra, che i tedeschi hanno aggredito Unione Sovietica. Da allora naturalmente è cambiata la vita però nessuno ci credeva che sarebbero arrivati fino a Kirowograd, dove abitavo io allora. Non ci credeva nessuno, tanto è vero che ho finito di fare tutti esami fino a otto di luglio, ogni tanto arrivavano i bombardieri a bombardar le città, ma niente di particolarmente… Vedevamo che tante persone, tanti militari, in campagna così attraversavano incominciando dalla fine di luglio, attraversavano campagne disarmati soltanto in divisa, che si ritiravano. Ma non si ritiravano a armate intere, ma singoli gruppi di… di questi militari. E noi domandavamo: “Cosa sta succedendo? Perché siete qui e non al fronte in divisa militare? Cosa……”; e siccome era anche pericoloso domandare perché loro naturalmente ritirandosi si consegnavano al… al… al distretto militare; cioè ritirandosi si consegnavano lì per poter essere riarmati e rimandati al fronte, non so, insomma c’era la disfatta… disfatta completa. Noi civili abbiamo iniziato ad aver paura che peggioravano le cose. E peggiorate molto rapidamente benché questi altoparlanti continuavano, naturalmente la propaganda, continuavano a dire che l’Armata rossa ci teneva al fronte molto, che i tedeschi non avrebbero potuto avanzare sui territori sovietici. Già che Brest Litowsk, allora è caduta. Noi non sapevamo metà dell’Ucraina era già stata occupata. Noi non sapevamo il perché. Quando è scoppiata la guerra è stato dato ordine: chi aveva apparecchi radio in casa doveva consegnare tutto allo stato. E siamo rimasti soltanto con questi altoparlanti per sapere, che poi trasmetteva lo stato senza poter ricevere qualsiasi altra stazione radio. Se qualcuno parlava qualche cosa che dicevano: “Stanno avanzando i tedeschi”; poteva essere arrestato per… per propaganda o per panico che creava panico. Era molto severo perciò se qualcuno dubitava qualcosa, non… non si esprimeva molto in mezzo alle persone perché passivo di arresto. Tanto è vero che un bel giorno le persone che riuscivano… passando queste persone, che qualcuno che scappava che andava verso est, hanno iniziato già a sparger la voce che la Polonia quando è stata occupata, gli ebrei in Polonia, che erano moltissimi che vivevano lì, che son stati confinati nei ghetti perciò che i tedeschi avevano con gli ebrei. Ma non avevano… non avevano particolarmente ferocità verso le popolazioni che, che non a… invece gli ebrei erano molto spaventati e cercavano di… di… di scappare insomma verso est verso e… ma non c’erano né trasporti, né niente perché tutti i trasporti erano addetti ai militari, tutti i treni che esistevano. Anche noi cercavamo di scappare però siamo riusciti a scappare soltanto… soltanto io e mia mamma perché il papà non c’era già più, e nei paesi, dintorni della città dove abitavo io per nascondersi in mezzo ai paesi e così, perché le città venivano bombardate dai tedeschi. E… però queste voci che continuavano a dire che avanzavano, avanzavano i tedeschi e allora abbiamo avuto paura perché in questo paese dove siamo rifugiati abbiamo sentito spari di cannone, cannonate. E allora mamma ha deciso di ritornare di nuovo in città a casa dove abitavamo perché avevamo paura che sarebbero stati tagliati fuori perché si sentiva spari di artiglieria pesante.
Siamo ritornati da questo paese a circa venti chilometri dalla città che eravamo rifugiati, in città.
Dopo una settimana svegliandoci con il trambusto che si sentiva sulla strada, e così noi siamo usciti fuori e vedevamo tutte persone che correvano verso la stazione ferroviaria, non so perché poi siamo corsi anche noi a vedere cosa stava succedendo. Succedeva che tutte milizie, cioè milizie in Unione Sovietica, pari a polizia in Italia o forze d’ordine, si imbarcavano sul treno, era verso mezzanotte, e non permettevano a nessun civile di imbarcarsi e lasciavano la città; cioè hanno abbandonato questa città. In precedenza son state aperte tutte prigioni cittadine e son stati fatti uscire tutti i delinquenti comuni.

 

Chi ha aperto le prigioni?

I sovietici prima di ritirarsi.

 

E quindi le milizie?

Quello non era milizie era Kgb. E’ un’altra cosa.

 

Era milizia segreta?

Segreta. Poi dirigeva, è un altro reparto che dirigeva prigioni, non era proprio milizia, milizia, ma era ordine pubblico. E naturalmente lasciando uscir fuori tutta la delinquenza comune hanno invaso… Quando han visto che l’ultima milizia con treno, l’ultimo treno che partiva perché avanzavano tedeschi, la sera, di notte e così son partiti abbandonando la città a se stessa, in balia della delinquenza comune. E’ stato un disastro. I tedeschi sono entrati un giorno dopo, non… subito il giorno… diciamo dopo due giorni, un giorno e mezzo, sono entrati in città completamente abbandonata. Naturalmente l’han presa senza combattere perché è stata abbandonata dalle forze dell’ordine, quelli civili erano tutti nascosti nelle case con paura perché la propaganda che diceva che avrebbero tagliato la gola, violentato… violentato le popolazioni civili, le donne e così via. Naturalmente eravamo spaventati, disorientati, un disastro. Persone impazzivano, chi scappava con una valigetta in mano e non sapeva neanche dove scappare perché i tedeschi ormai quando hanno occupato questa città sono andati oltre perché la città è stata circondata.
E niente. E così è stato disastroso. Quando sono entrati nella città, due giorni dopo, ventiquattro ore dopo hanno messo subito, si capisce che erano già prestampati, col comando tedesco tutti i manifesti scritti in russo, tutte regole che dovevano i civili rispettare: coprifuoco dalle otto della sera alle otto del mattino e dovevamo rispettare certe regole dove naturalmente c’era scritto: “Numero uno: se verrà trovato un soldato tedesco ammazzato sono dieci ostaggi che verranno fucilati o impiccati”. Per ogni ufficiale erano venti, se non venticinque. Gli ostaggi chi erano? Quelli che i tedeschi trovavano senza documenti che non poteva dimostrare che era abitante di quel luogo, di quella città, di quella via. E perché non… in Ucraina non… non essendo… non c’erano montagne o boschi dove potevano nascondersi i partigiani. Naturalmente son rimasti in città e poi più tardi, nel ’42, ’43, così, è iniziato un forte movimento di partigiani che… nelle retrovie tedesche che… facevano molti danni. Naturalmente pagava la popolazione civile! Come forse gli italiani. In ogni paese, in ogni città in Unione Sovietica c’erano queste fosse come fosse Ardeatine perché naturalmente sempre qualche tedesco si trovava qualcuno che ammazzava, che poi non so neanche che scopo c’era perché poi ……la popolazione civile… I primi che trovavano nella prigione. In prigione durante l’occupazione tedesca chi c’erano? Persone civili che, o perché rientravano dopo coprifuoco in casa per caso, o erano senza documenti, o per altre ragioni che non poteva dimostrare che era abitante e dov’era, però certamente li mettevano, diciamo, in questa prigione finché accertavano la, la… la residenza di queste persone che erano, e quando trovavano un militare morto prendevano da questa prigione e li fucilavano, di più impiccavano. Per forza portavano la popolazione civile in questa piazza, in questa piazza, insomma in ogni paese, in ogni città ci sono piazze dove impiccavano per… per spaventare. Popolazione naturalmente doveva esser presente per forza, chi riuscivano a rastrellare all’impiccagione. Era tremendo naturalmente!

 

Come era la convivenza tra gli ebrei e la popolazione di Kirowograd?

Convivenza era molto… normale come anche verso altre popolazioni che esistevano sul territorio ucraino. Esistevano anche altre popolazioni, naturalmente non soltanto ucraine, ma anche russi, bielorussi, caucasici e persone anche dall’Asia centrale e così via. E… erano moltissime. Quando i tedeschi hanno occupato Kirowograd che era in principio, prima settimana d’agosto del ‘41 hanno subito istituito, perché essendo Unione Sovietica tutta dello stato, tutto il territorio, tutti i negozi, tutte le attività di qualsiasi genere appartenevano allo stato. Quando questa… questa… lo stato si è ritirato… è stato occupato questa città e altri… altri posti dove i tedeschi hanno occupato, prima cosa che han fatto, hanno subito… non svalutato, hanno… hanno distrutto, han detto che non ha più valore i rubli, che erano moneta sovietica, e han… già prestampati, come han fatto in tutta Europa, dopo ho saputo questo, e… i marchi tedeschi militari. Cioè che era carta stampata per scambio in tutti i paesi anche del… del est, come… in Francia non lo so, ma in ogni modo in tutti i paesi dell’est esistevano questi marchi tedeschi di guerra. Valuta sovietica non aveva nessun valore, cioè non l’accettava nessuno e poi non c’era niente da comprare perché essendo negozi e tutto il resto appartenuto allo stato, bestiame, e… tutto il resto, ritirando le forze armate dall’Unione Sovietica lo stato ritirato, i tedeschi hanno occupato tutto. Tutti i magazzini han requisito. Bestiame che i sovietici non son riusciti a evacuare l’han ammazzato loro nella ritirata. Han requisito tutto quello che potevano requisire e portarsi nelle retrovie. Però tutto il resto è stato requisito, quello che non è stato portato via dai tedeschi. Non avendo noi, popolazione civile in città, non avendo negozi perché i negozi appartenevano allo stato, una volta che stato non c’è: rimasti locali vuoti. Senza niente. Non avevamo niente! Assolutamente niente! Da mangiare non c’era… perché non c’erano nemmeno botteghe private che vendevano, non so, qualche verdura, qualche patata, qualche cosa, niente. Perciò i tedeschi hanno istituito, per non far morir di fame del tutto la popolazione, hanno istituito chi lavorava da qualche parte davano mezzo chilo di pane al giorno. Pane cotto e insomma lo davano così. E… il lavoro non c’era, le scuole erano chiuse, industrie a Kirowograd c’era una grossa industria di macchine agricole. Lavoravano circa dodici, quattordicimila operai. I sovietici prima di ritirarsi, ventiquattro ore prima, hanno fatto saltar questo stabilimento. Tutto il resto gli stabilimenti, fabbriche che esistevano in questa città, credo su quasi tutto il territorio quando si ritiravano, li facevano saltare per non lasciarli in mano ai tedeschi. Il grano non è stato, in campagna, nelle campagne sovietiche, raccolto perciò era secco e i sovietici hanno incendiato. Bestiame che non riusciva a seguire in ritirata lo ammazzavano o annegavano nei fiumi. La popolazione è rimasta completamente abbandonata a se stessa in mano agli occupanti. Chi non lavorava, lavoro non c’era da nessuna parte perché tutto quello che c’era dello stato è stato distrutto. Che lavoro poteva fare? Servire le truppe tedesche. Cioè praticamente, quando, che non avevamo nemmeno il sapone per dire la verità, allora le donne di casa prendevano la biancheria degli occupanti tedeschi per lavare ‘sta biancheria e avere un pezzo di sapone almeno anche avanzava per sé stesso, per poter lavare propria biancheria e li davano. Perché si faceva scambio merce, non si potevano, non c’erano soldi e non… non servivano soldi perché non c’era niente da comprare. E… noi cittadini eravamo più sfortunati dei contadini perché i contadini avendo un suo orticello privato avevano patate, qualche cosa, qualche barbabietola, o qualche gallina ancora che si è salvata, qualche uova insomma, è così. Noi cosa si faceva: si raccoglieva quel poco di cose che erano… come vestiario, come scarpe, come… perché gli ori non esistevano nei… oggetti d’oro non esistevano perché l’Unione Sovietica non li vendeva, semplicemente lo stato non, non… non riteneva necessario a vendere oro per bellezza, perciò nessuno aveva oro. Allora si faceva scambio merci, si andava nei paesi intorno alle città dei contadini portando qualche paio di scarpe ancora abbastanza buono, qualche cappotto, qualche… qualche altra cosa di vestiario, qualche lenzuolo scambiandolo per due o tre chili di patate. Quando è arrivato l’inverno è stato molto rigido. Quell’anno lì, difficilmente scende a sedici sotto zero d’inverno in Ucraina, quell’anno lì è stato terribile. E’ sceso sotto i sedici sotto zero, inverno ’41-’42. Non avevamo né carbone, né niente per scaldarsi perché nessuno riforniva niente. Andavamo dove c’erano i treni ma… che scaricavano… carbone, non quelle troppo consumate e si raccoglieva un pochino, questi una piccola stufetta in casa e si stava attorno con guanti e con cappotti e si dormiva. Scoppiavano i tubi dell’acqua in casa perché era tutto gelato. E così, senza quasi mangiare, senza niente, si poteva… si poteva andare a lavorare in qualche cucina dove cucinavano per i tedeschi chi era più fortunato. Chi aveva quel posto di lavoro riusciva a portarsi qualche chilo di, di… pane a casa per i figli. E’ stato tremendo sopravvivere in queste condizioni.
E… quando avevano occupato in agosto, i primi giorni, la prima settimana di agosto, hanno fatto censimento della popolazione. Hanno fatto un annuncio per chi voleva andare a lavorare per far censimento, cioè popolazione sovietica. Naturalmente tanti sono andati che così ricevevano qualche… qualche cosa da mangiare. Hanno fatto censimento in pochissimo tempo. Cioè nel momento in cui chi trovavano in casa, casa per casa andavano a far censimento. Chi trovavano in quel momento lì in casa a questo indirizzo prendevano nota e dopo un mese i tedeschi sapevano già chi abitava, dove e come si chiamava, da quanto tempo abitava. E si doveva andare dal commendator “Kommandatur”, a ritirare l’”Ausweis” cioè lasciapassare tedeschi firmato dal comandante della città, tedesco. In seguito, naturalmente, lì c’era scritto di quale nazionalità è perché in Unione Sovietica la cittadinanza e nazionalità sono due cose differenti. Perciò chi era ucraino, chi era russo, chi era ebreo dovevano scrivere nazionalità per forza, perché… insomma era controllato dopo.
I tedeschi avevano naturalmente in questo… in questo modo, avevano tutto… catalogato, tutto scritto e controllato, dove vivevano ebrei e famiglie ebraiche in quella città. Alla fine di settembre, prima hanno imposto ebrei a portar la stella gialla ebraica cucita sul cappotto, li hanno costretti a ripulire la città dai bombardamenti, le strade e così via, a ripulir tutto. Naturalmente gratuitamente, non li pagavano, erano come se fossero prigionieri perché le altre popolazioni non aveva… diciamo obbligo per forza a andare a far certi lavori. Perché non c’erano altri lavori da fare. Ripulire la città dai bombardamenti per poter passare sulle strade. Quando è stata ripulita la città e tutto il resto, il giorno trenta di settembre precisamente prima che finiva il coprifuoco perché era alle otto del mattino il coprifuoco, noi in cortile abbiamo sentito dei camion, delle macchine che entravano nel cortile dove abitavo io, ecco… così in tutta città è stato.
In questo cortile dove abitavo io, abitavano quattro famiglie ebraiche. E naturalmente noi non si poteva uscir fuori perché c’era il coprifuoco e si aveva paura perché i tedeschi prendevano come prigionieri la popolazione civile. E sentendo questo trambusto un po’… un po’ grida, un po’ strilli, si aveva paura di aprir la porta. Non sapevamo cosa stava succedendo. Eravamo tutti tappati in casa e non sapevamo… pensavamo che stavano portando… ammazzando la popolazione civile come ci avevano detto come propaganda che se entravano i tedeschi avrebbero ammazzato, violentato e… e… insomma fatto del male alla popolazione civile. Naturalmente avevamo un… una paura tremenda. Poi quando abbiamo sentito tutto tranquillo, tutto insomma… non abbiamo più sentito… si sentiva questi camion… un rumore nessuno, partiti dal cortile. Dopo le otto, pian piano, prendendo coraggio, siamo usciti fuori e abbiamo constatato tutte le persone che erano… che abitavano in quel cortile, che… ebrei, tutte famiglie ebraiche che abitavano in quel cortile non c’eran più. Erano spalancati i loro appartamenti, le loro case, tutto sottosopra e loro erano scomparsi.
Non sapendo cosa stava succedendo eravamo spaventati. Si aveva paura di uscir fuori dal cortile, non… non ci siamo resi conto che soltanto ebrei che erano deportati, pensavamo che dopo tornavano e che ci portavano via anche noi, insomma… non sapevamo che cosa stava succedendo.
Verso alle dieci del mattino qualcuno che, sa come corrono le voci, qualcuno che è entrato in cortile adesso non me lo ricordo, ha detto… ha gridato: “Stanno deportando ebrei…”; e così.
Ricordando… ricordandomi che avevo un’amica carissima di scuola che… era… con una medaglia d’oro… era molto intelligente, molto brava, anche noi facevamo gli esami insieme a lei, un’ebrea. Si chiamava Miriam.

 

La medaglia d’oro veniva data agli studenti più bravi?

Agli studenti più bravi. A studenti meritevoli. Vuol dire il massimo dei voti.
E… aveva una famiglia… abitava dall’altro capo della città. Io ho preso coraggio a due mani, mi sono messa a correre, quando venute queste voci che dicevano che stavano portando via ebrei, per avvisarla di nascondersi e portare a casa mia qualche cosa. Ho attraversato, attraverso orti e strade, stradine, cortili e cortiletti perché avevo paura di incontrare qualche tedesco qualche… perché tutta la città era sotto sopra che camminavano questi camion questi… questi… un disastro era! E… di avvisare di scappare o portare a casa mia, di nasconderla, o così. Quando sono… finalmente non so dopo quanto tempo sono riuscita a raggiungere il cortile dove abitava lei ho trovato soltanto porte spalancate tutto sottosopra in casa e non c’era nessuno. Lei che aveva una famiglia numerosissima, ultimo fratello o sorella, non mi ricordo adesso, l’ultimo dei bambini avrà avuto cinque, quattro o cinque anni scomparso completamente. Abbiamo saputo dopo nemmeno una settimana tutta la popolazione civile cosa è successo. Successo che questi camion che entravano, non avevano bisogno di fare un crematorio han fatto prima, entravano in ogni cortile e raccoglievano perché avevano indirizzi e tutto perché prima è stato fatto il censimento. In questi camion, erano chiusi, in questi camion facevano entrar un gas dentro, li gassavano dentro, non so che gas, che cosa… tubi non so… insomma c’era… c’era dentro che erano tutti chiusi questi camion e li portavano fuori dalla città dove c’erano prigionieri sovietici che scavavano queste enormi fosse, già da prima hanno iniziato a scavar queste enormi fosse, dove li scaricavano. Scaricavano e prigionieri sovietici soldati li dovevano chiudere. Coprire con la terra perché son state scavate trincee, cosiddette contro carri armati che… i carri armati… insomma… sono entrati in città dall’altra parte. E… e così in ventiquattro ore hanno liberato la città di tutti gli ebrei con efficienza germanica. Non è rimasto… qualcuno forse è riuscito a scappare da qualche parte del… in qualche paese o nascosto presso amici e così.
Ma c’è stato un ordine dei tedeschi che chi nascondeva ebrei sarebbe stato passibile di arresto e si sapeva passibile di arresto a che… cosa significava e che… che fine potrebbe aver fatto. Lasciavano vivere, non deportare, non ammazzare, soltanto le femmine di una famiglia che era la madre o… russa o ucraina e il padre era ebreo. Soltanto femmine lasciavano lì perché se avevano un maschio era deportato. Cioè deportato vuol dire morire. Nemmeno di famiglie miste lasciavano i maschi vivere. Soltanto femmine lasciavano vivere perché in caso, nel nostro cortile avevamo una famiglia così. Il figlio l’han portato via che era maschio che avrà avuto sedici anni, e la bambina l’han lasciata insieme con la madre, e il padre invece era in guerra. E’ stato tremendo, tremendo, quando è passato questo inverno molto rigido, in primavera i tedeschi hanno iniziato a prelevare la popolazione civile. Siccome avevano tutti… tutto controllato, tutto schedato, ognuno dove abitava, quanti anni aveva e quando era nato, mandavano a casa o un messo, diciamo, che lavorava in comune e così con una cartolina di presentarsi al commendatore, al “Kommandatur” tedesco. E… entro tot, davano tempo ventiquattro - quarantotto ore, se non si presentava era passibile di sanzioni molto gravi. Naturalmente non sapendo di che cosa si trattava si doveva per forza presentare così. Quando si presentava, che avevamo già questi “ausweis”, questi documenti rilasciati dai tedeschi in autunno, allora mettevano, se avevano bisogno un trasporto di mille persone, duemila persone di quella città diciamo, loro mettevano su questa carta d’identità, questa “ausweis”, un timbro che era scritto per Germania: “Nach Deutschland” era attraverso questa carta d’identità. Quando siccome controllavano “polizei”, polizia militare tedesca, controllava continuamente un crocevia all’improvviso così in città controllava documento ogni momento. Chi non aveva documenti era passibile di arresto. Chi aveva documenti che c’era scritto anche la data quando lei avrebbe dovuto ripresentarsi per la sua partenza per la Germania, con questo timbro “Nach Deutschland” era come una condanna. Non poteva sfuggire a meno che non scappare in qualche paese, ma dove scappare? Non potevano tutti scappare nei paesi perché anche nei paesi prelevavano le sostanze in città. Io sono riuscita per due volte a eludere la questione che loro mettevano “Nach Deutschland”, mettevano anche la data quando lei doveva presentarsi per partir per la Germania.


Come ha fatto ad eludere per due volte?

Per due volte mi nascondevo dai vicini, dai parenti dai, dai, dai… conoscenti, così. Diciamo non tornavo a casa a dormire perché mandavano la polizia a controllare perché nel frattempo hanno creato anche polizia locale. Naturalmente, dopo, questi poliziotti che… perché poliziotti non erano, perché sono andati giusto per lavorare per aver questo mezzo chilo di pane. Lavoravano per la popolazione civile, per mantenere ordine. Non è che lavoravano per i tedeschi. Mantenere ordine per la popolazione, in tutto in generale. Naturalmente quando poi rioccupata Unione Sovietica dall’Armata rossa sono stati quelli che non son più riusciti a scappare, sono scappati tutti per le armi. Perché la polizia non era polizia: era polizia d’ordine diciamo.

 

Era la polizia che collaborava con i tedeschi?

Sì perché aveva collaborato per ordine pubblico per un… per un… insomma… secondo me non erano né polizia, né niente… era giusto per mantenere ordine in città. Semplice ordine. In ogni modo mandavano appunto questi poliziotti a casa a controllar se c’era o non c’era e poi dicevano ai parenti se non si presentava l’avrebbero preso un altro parente al suo posto. Qualcuno della famiglia.

 

Chi veniva scelto per questo lavoro?

Per questo lavoro venivano scelte le persone giovani, sane, naturalmente solo perché loro, prima di caricarli su questi trasposti di deportazione in Germania, i militari medici tedeschi controllavano questi che si presentavano, che dovevano presentarsi alla data al “Kommandatur”, controllavano se era sano, se non aveva tbc, stato di salute e tutto il resto. Niente in più facevano idoneo per la Germania. E era una condanna, non poteva scappare, non poteva far niente perché doveva per forza presentarsi perché può andare bene una volta o due nascondersi, ma… la terza potevano portar via anche… diciamo familiari che non… o così o così. In ogni modo le donne incinte non le portavano via. Popolazione maschile non c’era perché erano tutti stati richiamati in guerra, durante la guerra, erano rimasti ragazzini… non so oltre i diciassette - diciotto anni non c’era nessuno come popolazione maschile. Perciò portavano via i giovani, le ragazze di più, donne diciamo, ragazze. E questo trasporto si doveva presentarsi quel giorno, li caricavano su queste carrozze merci e portavano in Germania. Sono passata dall’Ucraina fino Brest, prima fermata era. Ogni tanto ci davano qualche cosa da mangiare, qualche zuppa… diciamo d’orzo qualche cosa così, essendo in piena estate era sempre acida perché fermentava, capisce? Allora si cercava quelli che capivano qualche cosa che… si cercava di non mangiare più questo… perché dopo veniva una diarrea tremenda. In più che non avevamo né servizi, né niente, ogni tanto ci si fermava e in campagna e questi treni si doveva per forza aspettare finché si fermavano per poter fare almeno i bisogni. Perché sembra una cosa così, ma è tremendo.

 

Erano i carri bestiame?

Carri bestiame sì. C’era la paglia e… e poi si dormiva in ogni vagone circa quaranta - quarantacinque persone erano lì. E… siamo passate attraverso Brest e poi fino a Frankfurt am Main. Abbiamo impiegato circa quindici, sedici giorni di trasporto.

 

Mi dà una sua idea, un suo ricordo degli italiani in Russia?

Ecco, gli italiani sono entrati a Kirowograd anche loro in mese di luglio, agosto in seguito alle truppe tedesche. Kirowograd è stato occupato dalle truppe tedesche, quindici, venti giorni dopo sono entrati. Le prime volte che ho visto italiani entrare e poi dopo italiani sono entrati anche rumeni, ma hanno proseguito oltre. Gli italiani sono stati nella mia città circa un paio di mesi, poi sono scomparsi, non so dove sono andati. Dopo ho saputo che sono andati sul Don più che altro. Dalla città dove abitavo io sono entrati… ho visto naturalmente per me come per altre popolazioni della mia città è stato molto… cioè… a vedere italiani a confronto di tedeschi, equipaggiamento italiano, vedevamo che erano molto… molto poco equipaggiati. Nel senso che avevano questi scarponi che per la Russia non erano adatti d’inverno perché si sarebbero congelati i piedi con… con fasce sulle gambe e così, con dei mantelli a ruota che per la Russia era assolutamente inadeguato. I tedeschi hanno portato con loro cappotti imbottiti di… di pelliccia e… e ufficiali invece gli altri soldati di cappotti molto pesanti, avevano stivali di feltro, che anche Armata rossa d’inverno mette questi stivali perché altri stivali si congelano i piedi quando fa freddo. Gli italiani erano sguarniti di questo. In più ho visto anche bersaglieri, che… insomma… noi popolazione civile non abbiamo mai visto soldati così e veniva un pochino da ridere perché erano sulle motociclette, mi ricordo con una mitraglia davanti, con… con dei caschi, dei, dei, dei… un abbigliamento così, infilati delle piume nei capelli, in queste… facevano un pochino ridere la popolazione perché sembravano fino… insomma… piume del, del, del… del gallo, insomma che mettevano… e dicevano: “E beh italiani… non sono guerrieri. Italiani sono… sono popolazione… che sono artisti… che sono… le piace suonare, le piace cantare, le piace… e non le piacciono combattere”. Per questo che italiani, in seguito, sono stati accolti dalla popolazione civile a rischio della propria deportazione e della propria morte, perché erano i nemici che hanno occupato insieme ai tedeschi il territorio sovietico o territorio ucraino, son stati salvati tantissimi italiani dalla popolazione sovietica, dalla popolazione ucraina, russa dei, dei… nei paesi e nelle città, perché non erano combattenti come noi dicevamo. Non erano cattivi non facevano del male a popolazione… erano molto simpatici e così anche… anche parlare su… per la strada e così non erano prepotenti e la popolazione subito li ha accettati sapendo naturalmente che non era colpa loro se… se li han mandati a combattere, se il fascismo, se Mussolini li ha mandati a combattere in terra straniera.
Molti italiani anche dopo, quando sono… sono arrivata in Italia anche in seguito ho conosciuto moltissimi italiani. Quando sapevano che io provenivo da… dall’Ucraina son venuti anche a ringraziarmi a nome loro, e… altre persone, che io allora non ero naturalmente in Russia e non ho osservato nessun italiano, però, che altre popolazioni completamente sconosciute, i contadini che hanno diviso pane, che era pochissimo, o… o in città che li hanno nascosti a proprio rischio e pericolo perché c’è stato dato ordine che se qualche… qualche famiglia nascondesse i nemici militari, occupanti militari, sarebbe stato passibile della deportazione, se non peggio.
Perciò rischiando la propria incolumità hanno salvato lo stesso italiani. Molti…

 

Questo da parte dei russi?

Sì, della popolazione sovietica russa, ucraina. E… e in Italia, mi è piaciuto, mi piace ricordare questo che ho conosciuto parecchi italiani che sono venuti a ringraziare me in nome di altre persone che li han salvati, che son ritornati a casa nel… questo esclusivamente… pochi naturalmente, però, anche quei pochi, portano un buon ricordo della popolazione che… non era nemica degli italiani. Naturalmente in seguito, la popolazione ha iniziato a distinguere italiani e italiani. Prima per noi sembravano tutti uguali. Quando sono… nell’anno dopo, ormai ero in Germania, ma… sapevo attraverso altre scritte e altri racconti, che quando sono entrati in Unione Sovietica le cosiddette camicie nere, quelli lavoravano collaboravano con le SS tedesche. Le SS erano un gruppo eletti militari di élite. Erano molto severi, molto… crudeli e collaboravano con loro contro la popolazione civile. Però la popolazione distingueva i militari italiani da queste camicie nere naturalmente. E sapeva già distinguerle! Quando son stata in Germania, avevamo il permesso di scrivere cartellini aperti, cartellini postali, non nella busta, ma cartellini postali una volta ogni quindici giorni ai parenti rimasti in Unione Sovietica e lo stesso ricevere di là, lo stesso, la posta con la cartolina postale aperta, doveva essere forse per il controllo o per la censura. E per sapere se erano vivi, se… insomma… questa comunicazione si poteva avere.

 

Riceveva anche qualcosa da casa?

No, assolutamente no.

 

Quando è partita che abbigliamento aveva?

Abbigliamento? Un cappotto, qualche paio di scarpe, quel poco che è rimasto dopo scambio, diciamo… per i viveri e che è rimasto, pochi stracci a dir la verità.

 

Ha vissuto con quegl’abiti per tutto il periodo in Germania?

In Germania certamente mi fornivano i camici da lavoro e così, io poi che ero in una casa privata, mi davano diciamo dei vestiti… certamente anche popolazioni tedesche avevano le tessere per l’abbigliamento, ma… non… non potevano acquistar scarpe come vestiario, come cibo, assolutamente niente senza… senza tessera, anche popolazione tedesca, ma essendo io a carico diciamo di questa famiglia, loro avevano il diritto, anzi credo non so come è perché m’ha portato un paio di scarpe quando si sono rotte i miei… L’unico che avevo… cappotto avevo io, poi hanno, in seguito, han dato un altro cappotto diciamo così, grosso modo per poter almeno… ma il vestiario in casa si portava dei, dei grembiuli da lavoro così… in questa casa… Nei campi è lo stesso. Nei campi quelli che lavoravano li fornivano divise da lavoro, in campi di lavoro parlo, non campi di concentramento “perché Konzentrationslager”, che significa campi di concentramento, avevano la divisa rigata con pigiama come… come bluse, come anche i cappotti erano leggeri con un cappello legato anche loro. In più erano tatuati. Rasati a zero capelli maschi come femmine, tatuaggio sul braccio sinistro in alto o sul polso, le donne giovani, certamente lì erano quasi tutte donne giovani deportate in questi campi di sterminio. Lì c’erano in mezzo anche quelle persone che volevano scappare come me, beh insomma dei deportati così in campi di lavoro volevano scappare, ingenuamente naturalmente perché se tutta mezza Europa era occupata dai tedeschi scappare era inutile e io questo l’ho capito lo stesso perché dico: “Dove scappo? Arrivo là mi riportano indietro”. Allora quelli che scappavano quando li trovavano, naturalmente li trovavano perché dove potevano imbarcarsi su quale treno, e allora li deportavano in campo di sterminio per punizione. Se qualcuno rubava qualcosa in Germania era per punizione. Dopo ogni bombardamento delle città che erano tremendi, dove ero io a Kassel al ventidue di ottobre del ‘43 è stato “terror angriff”, in tedesco si dice bombardamento a tappeto terroristico. E’ stata distrutta tutta la città a parte i dintorni un pochino si è salvato. Hanno buttato bombe incendiarie, con bombe che illuminavano a giorno tutta la città, e poi a ondate sganciavano le bombe proprio a tappeto. Tantissimi i morti naturalmente come la popolazione civile tedesca, incendi che duravano tre o quattro giorni, non si poteva chiudere nemmeno gli occhi perché tutta la fuliggine che entrava negli occhi, non si poteva nemmeno respirare.

 

Andavate nei rifugi?

Sotto casa i rifugi. C’erano bunker. Per gli stranieri erano vietati. C’erano bunker che hanno costruito i tedeschi come case, non sottoterra ma in superficie. Bunker che se prendeva una bomba da cinquecento chili, mille chili, la spostava con… cioè non riusciva a fare il buco in questo bunker a due o tre piani come fosse una casa di cemento armato. Ma questi hanno rapidamente costruito nel ’41-‘42 quando sono iniziati i forti bombardamenti inglesi, quando sono entrati in guerra americani che allora hanno sterminato, insomma… tanti come Dresda, come Dortmund, come Berlino, come Hamburg, erano incendi tremendi perché buttavano bombe al fosforo. Popolazione civile tedesca era decimata, decimata. E noi naturalmente non è che… Era punito con la morte istantanea: fucilazione, impiccagione ai… ai ladri, sciacalli che passavano, tedeschi o stranieri che siano, che passavano nelle case bombardate a raccogliere qualche cosa. Naturalmente erano bombardati anche i campi di lavoro. Anche lì buttavano le bombe. E gli stranieri quando scappavano così dai bombardamenti scappavano nelle campagne perché non potevano entrare nel bunker, era vietato a loro, a tutti gli stranieri. Non potevano entrare nei rifugi costruiti per i tedeschi, e quelli che si salvavano nelle campagne, quando ritornavano, passavano, magari qualcuno per sciocchezza, qualcuno pensava di passarla franca, entravano in qualche casa, prendevano qualcosa in mezzo alle macerie e quando i tedeschi li trovavano li fucilavano sul posto. Che siano tedeschi, che siano stranieri li fucilavano sul posto. Era molto rigido diciamo in questo senso. Beh insomma, dopo questi tremendi bombardamenti dovevano rifornir manodopera e continuavano a deportare da tutti i paesi dell’est, anche dalla Grecia, moltissimi dalla Jugoslavia, moltissimi cecoslovacchi, insomma… ma di più dall’est perché non eravamo protetti da nessuno lì, insomma.

 

Quando ha cominciato a vedere gli italiani?

Italiani subito dopo l’otto settembre del ‘43, li ho visti che allora ero a Kassel. Li ho visti subito in ottobre in divisa militare, erano alpini, che allora non lo sapevo che erano alpini perché avevano un cappello con una piuma dentro e… e nella via dove abitavo io, passava un gruppo di questi italiani che saran stati una sessantina, accompagnati naturalmente, andavano al lavoro accompagnati dalle guardie armate tedesche della Wehrmacht e andavano da qualche parte a lavorare. Io li sentivo che passando sulla strada così che cantavano sottovoce perché era proibito; e la prima volta che ho chiesto: “Ma chi siete?”. Perché è la prima volta che vedevo divise diverse, perché erano in divisa militare. E non sapevo… non sapevo… non sapevo che… era l’otto settembre in Italia di qua e di là, non sapevamo niente. Allora questo tedesco che li accompagnava m’ha sgridato e diceva: “Vattene di qui perché se no ti porto in Konzentrationslager! Non parlare”. Ma io dico: “Ma chi sono questi militari?”. Dice: “Italiani traditori!”.
E loro m’han guardato, gli italiani m’han guardato e sono andati a lavorare non so dove, e li portavano tutti i giorni, la stessa strada che facevano, li portavano da qualche parte a lavorare.
Hanno impiegato moltissimi italiani militari a sgombrare dopo questi… dopo ogni bombardamento, specialmente questo bombardamento così tremendi che erano, sgombrare le… le vie della città, sgombrarle dalle macerie perché non ci stavano in piedi nemmeno pareti. Era tutto crollato, tutto! Non si conoscevano più dov’erano le vie, dov’erano insomma… e sotto macerie c’erano popolazione civile, tremenda.
E da quel periodo lì in più, i tedeschi han saputo che in… nel ’43-‘44 inverno che i tedeschi hanno iniziato ritirata, che era vietato saper queste cose. Anche i tedeschi, la popolazione civile non potevano parlare. Perfino li sequestravano lettere anche alla popolazione civile tedesca se arrivava dalle parti di Stalingrado o dei dintorni che figli o mariti scrivevano. E li sequestravano lettere per non dare ai… ai familiari, per paura che raccontassero che i tedeschi stavano cedendo, per non crear panico. Perché città bombardate, industrie bombardate, più perdere la guerra in Russia, insomma. In più sono entrati in guerra, quando sono entrati in guerra americani, i tedeschi e la popolazione avendo anche paura però… diceva: “Per noi è finita!”. Perché allora iniziava da ambedue le parti, dall’est come dall’ovest, contro la Germania. E’ stato tremendo. Dopo aver… insomma subito tutte queste cose, non avendo più, perché nel frattempo, diciamo, il mio padrone che era un’ufficiale della Wehrmacht morto, è rimasta soltanto la moglie e non aveva più il diritto a una persona deportata. E m’han trasferito a Linz in… in Austria a lavorare sulle ferrovie di trasporti, eh… si chiama…

 

Lavoravate per la Todt?

No, no.

 

Il rapporto con la famiglia finisce quando muore il capo famiglia?

Sì.

 

In che anno siamo?

Nel ’44. Insomma è morto un po’ prima, ma il ‘44 in ottobre m’han mandato a Linz in Austria a lavorare. M’han destinato a lavorar sui treni merci, come per segnalazioni di treni, a metter su.

 

Mi spiega cosa significa segnalazione?

Significa a mettere illuminazione di stoppo, di luci rosse nell’ultimo vagone. Questo era il mio incarico, per segnalar che l’ultimo vagone è passato, ecco.

 

Lei come faceva a fare questo lavoro? Dov’era sul treno?

L’ultimo vagone c’erano… come degli sgabuzzini attaccati al, al… al vagone merci, dove ci si riparava un po’ dal freddo, un po’ dalla pioggia, un po’ così, e sull’ultima carrozza si metteva in alto questi segnali, ecco. Questo era il mio lavoro che si viaggiava in Austria, con questi treni merci, secondo dove destinavano. Io dovevo far questo lavoro e basta.

 

Quante ore lavorava?

Beh come tutti i ferrovieri non si tratta di ore, perché quando il treno parte a seconda di dove deve arrivare e poi ritornare indietro. Perciò si poteva lavorare, non so, tre o quattro ore, come si poteva lavorare due o tre giorni senza ritornare alla base. La base era a Linz. Ecco.

 

A Linz dove?

C’erano delle baracche vicino alla stazione… alla stazione centrale di Linz, in via “Bahnhofstrasse”, cioè la via della stazione, erano fatte in legno, dove c’erano ferrovieri, ma non soltanto stranieri, ma c’erano anche tedeschi. Cioè tedeschi… austriaci. Come i ferrovieri che loro facevano altri lavori naturalmente. Donne come uomini.



Le baracche erano divise in uomini e donne o eravate tutti insieme?

No. Lì… lì eravamo… una baracca molto lunga e si chiamava: “Duecento Metri”, proprio così si chiamava. Fatta come se fosse una casa lunga due piani, e lì si aveva, insomma, le camere di… di tre o quattro persone che dormivano donne con donne e uomini con uomini. Ma di più non mi ricordo di uomini che dormivano lì, veramente forse sotto al primo piano qualche… qualche… così. Perché gli uomini stranieri che lavoravano in ferrovia dormivano nei campi intorno a Linz che c’erano baracche, campi di baracche, insomma. Lì lavorando in ferrovia, in uno di questi viaggi, ho conosciuto mio marito che era prigioniero di guerra italiano, deportato dalla Grecia, deportato dopo l’otto settembre, deportato in Austria. In principio era in un paese dove aggiustavano ferrovie. Questi militari prigionieri di guerra aggiustavano i binari della ferrovia dopo i bombardamenti perché bombardavano continuamente e loro dovevano rimettere a posto. In seguito l’hanno mandato a far fuochista sui treni, sulle locomotive, buttava dentro carbone, fuochista e… e in questo lavoro, essendo anch’io… lavorando per la ferrovia così ci siamo conosciuti. Quando è finita la guerra e… dopo i bombardamenti mi sono trovata nel campo dove… dove era mio marito, fuori da Linz. Perché lì è stato bombardato tutto, sterminato tutto, non c’era più niente, allora siamo scappate un po’, così, e sono andata in questo campo dove c’erano altri italiani con altri stranieri e mi sono rifugiata in questo campo a veder… perché questo è successo il mese di aprile del ‘45 dopo tremendi bombardamenti su Linz e mentre… al… otto maggio del ‘45 è finita la guerra. Ecco.

 

Mi racconti bene l’incontro con suo marito.

Beh incontro……

 

E’ stata una storia d’amore?

No! Nessuna storia d’amore. Allora in queste condizioni nessuno pensava all’amore, si… si aiutava uno con l’altro, noi donne aiutavamo gli uomini a lavargli la biancheria e loro ci aiutavano a noi, non so… in altri lavori che noi non potevamo fare, insomma ci si aiutava a vicenda, ci si proteggeva a vicenda. Quando è stata occupata l’Austria dalle truppe… dalle truppe americane è stato molto brutale l’occupazione. Molto brutale. Perché prime truppe americane a loro è stato permesso, credo dal loro stato, di fare quello che volevano, i primi occupanti diciamo i primi… quelli che avanzavano per prima…

 

Le prime armate che entravano?

No armate, proprio i primi militari. Avanguardie come le chiamano, non so ecco. Non soltanto occupavano, entravano nelle case degli austriaci, i civili diciamo, nelle case di persone così, rubavano, distruggevano, ammazzavano anche, proprio vandalismo, ma sono entrati anche, questo lo posso testimoniare anche nel campo dove ero io rifugiandomi dopo i bombardamenti, entrati dentro, se non c’erano italiani e francesi uomini, che erano prigionieri di guerra che poi… insomma… essendo passati, insomma lavoravano così, era… se non c’erano loro che ci salvavano noi ragazze, americani militari violentavano ragazze e dopo, sapendo che sono baracche, che sono campi che son stati deportati stranieri, che eravamo anche noi prigionieri dei tedeschi in definitiva, e loro ci avevano liberato violentando le ragazze nel campo questo… questo non me lo scorderò mai! Mai! Perché in due occasioni mio marito, che allora non era mio marito avevamo un’amicizia così forte, anche altri italiani han… hanno difeso queste ragazze che non erano protette perché erano sole nel campo. Non potevano proteggersi quando entravano militari col mitra spianato, uno sulla porta col mitra spianato e l’altro violenta le ragazze, e che sapevano che erano prigioniere dei tedeschi. Sapevano. Per fortuna.

 

Quindi hanno rischiato la loro vita per difendervi?

Sì cara.

Erano solo americani o erano anche di altre nazionalità?

No, quelli che ho visto insieme… insieme agli americani c’erano anche australiani… sui carri armati o… su prime occupazioni naturalmente dopo subentravano altre forze armate americane che erano più disciplinati, che non avevano il diritto di… di rapinare, di combinare guai. Ma… avanguardie erano tremendi. Maggioranza erano negri. E… colossi negri. E facevano… facevano disastri. Disastri anche popolazione civile austriaca, insomma, in definitiva civili non è che c’entravano molto, non erano i militari… non erano colpevoli di quel che ha combinato Hitler. Insomma si vendicavano sulla popolazione civile che non c’entrava.

 

Quale era la differenza del lavoro in Austria rispetto al periodo passato in Germania, anche come possibilità di movimento?

Beh certamente in Austria avevo molta più libertà nel senso che lavorando sulle ferrovie facevo dei turni, facevo dei viaggi con questi treni merci, avevo altri impegni, nessuno mi seguiva, dovevo soltanto quando uscivo, firmar dove andavo nel libro che c’era in questa… in questo… da queste baracche che erano soltanto per i ferrovieri che lavoravano diciamo. In questa baracca vivevano anche altri che lavoravano per le ferrovie, soltanto per le ferrovie, austriaci, e… erano anche altre nazionalità tipo baltici, tipo… tipo polacchi, tipo cecoslovacchi c’erano. Francesi non me lo ricordo, civili non mi ricordo se c’erano, ma gli italiani naturalmente lì non c’erano in questa baracca, e c’erano i paesi dell’est qualcuno. Invece italiani come uomini che lavoravano come mio marito, vivevano in… in campo proprio non lontano da Linz c’era un campo grande dove c’erano civili deportati di tutta l’Europa che lavoravano lì… ecco. Dormivano e… e lì in questo campo, io invece ero in città di Linz e…

 

Com’era il trattamento verso gli italiani?

Beh gli italiani civili, quelli che sono andati come civili a lavorare ancora prima che… come volontari che… prima che… prima dell’otto settembre diciamo, avevano… avevano diritto… avevano domicilio presso qualcuno se… se avevano abbastanza soldi così di affittare qualche locale così, insomma. Non vivevano nei campi di… di lavoro… perché erano soltanto nei campi da lavoro quelli deportati e i civili non c’erano. C’erano i prigionieri di guerra e deportati civili, che poi i prigionieri di guerra italiani nell’ultimo anno non si consideravano tali perché lavoravano, ognuno lavorava dove li mandava… dove li mandavano insomma l’“Arbeitsamt” le… come le camere lavoro, non so come che dovrebbe tradursi, dove smistavano manodopera dove serviva ecco…

 

Tipo ufficio di collocamento?

Ecco. Ufficio sì… precisamente. Ufficio di collocamento: “Arbeitsamt” sì. E… lavorando con questi fino… naturalmente fino al bombardamento… terribili che gli ultimi bombardamenti che sono stati nel ‘45, mese di aprile in Austria, poi si è fermato quasi tutto perché… essendo continuamente bombardati treni merci con moltissimi morti. Nel campo dove c’era mio marito, era pericoloso lavorar sulle locomotrici, perché per prima mitragliavano quello. Arrivavano sempre quelli… ormai erano americani che arrivavano da… da Salzburg, da… da… da Innsbruck, da… da insomma diciamo dalla parte, diciamo, delle Alpi italiane credo. Non so dove arrivavano forse dall’Italia addirittura, e… arrivavano a due a due e in pieno giorno scendevano a picco e mitragliavano con… con pallottole molto… molto grosse, molto disastrose che faceva il buco e dove usciva a… a ventaglio spaccava. Cioè se entrava nel corpo di una persona, entrando faceva soltanto un buco, ma usciva e… e… e scoppiava tutto. Scoppiava dentro nel corpo, tremendi. E non avevano più gli austriaci né contraeree, né niente perciò non erano protetti questi treni, loro quando distruggevano locomotrice si fermava il trasporto. E naturalmente anche quando vedevano che anche popolazione… se su treni… non treni merci, ma treni normali che trasportavano popolazione, se il treno… se locomotrice si fermava, vedeva arrivare questi… questi caccia americani, perché arrivavano sempre contro… contro luci insomma. Non… non ci vedeva bene, ma ormai quando era vicino iniziava a mitragliare, dava il segnale e così le persone quelli che erano civili che scappavano in mezzo a campagne, erano così… così poco caritatevoli che dopo aver mitragliato tutto il treno facevano la caccia all’uomo! E questo, una mia amica ci ha rimesso la vita a questa caccia all’uomo. Perché scendevano a picco e quando vedevano uno scappare nei campi allontanandosi da questi treni lo mitragliavano. Per me questa non… non è la guerra… questa è la caccia all’uomo e cioè assassinio, cioè voler uccidere una persona che… civile… che non è in divisa non sapendo nemmeno chi è questa persona. Era tremendo. Tant’è vero che prima che è finita la guerra quasi tutti i trasporti erano fermi. E trasporti che… ormai… Armata rossa avanzava verso Vienna e c’era un trasporto che qui non era ancora occupata Linz, la zona era ancora libera e allora questi treni trasportavano i feriti, feriti soldati, sgombravano ospedali o feriti, verso ospedali insomma dove erano più protetti, dove non c’erano bombardamenti e li mitragliavano durante il trasporto così… insomma era tremendo… tremendo. E così poi l’otto di maggio del ‘45 è stato firmato l’armistizio a Berlino, ma in Austria, nella zona dove eravamo noi, è continuata anche per altri due giorni fino che SS, che truppe SS che si sono ritirate nelle montagne di Steyr, si sono arresi. Perché se no sarebbe continuato ancora. Perché americani non riuscivano a prendere quelle montagne che loro avevano artiglieria pesante e dall’alto sparavano verso il basso. Verso americani che avanzavano verso Vienna. E così è finita la guerra. I campi sono stati occupati dagli americani e da allora noi abbiamo iniziato a mangiare perché americani hanno iniziato a dar loro scatolette, portare un po’ di patate, e noi si faceva festa, non sembrava nemmeno vero che possiamo ormai, finalmente dopo tanti anni vedere un pezzettino di carne ogni tanto, perché per tutti gli anni di guerra non abbiamo mai visto la carne. Verdura e… e patate, e cereali e qualche cosa così. Altre cose, né zucchero, né… ormai… quello era lusso che non si è visto per tutti i cinque anni di guerra, ma si può sopravvivere insomma, senza zucchero. Ma però siamo sopravvissuti anche senza carne e insomma: se siamo qui a parlare.

 

Relativamente agli altri lavoratori coatti, gli italiani avevano un trattamento particolare?

Ecco… dei civili, i cosiddetti volontari che sono andati a lavorar volontariamente in Austria, non parlo più della Germania non so che cosa succedeva lì, non erano nel campo. Erano nelle abitazioni private dove trovavano alloggio. Finita la guerra poi si sono… hanno raggiunto italiani che erano nel campo per… per aspettar di essere rimpatriati insieme. Di italiani civili non so molto perché non ho mai lavorato con italiani civili, so che…

 

Civili intende volontari?

Volontari sì. Si chiamava civili perché quelli erano militari e questi son civili. E… so che moltissimi italiani civili, e… e poi di altre nazionalità naturalmente anche tedeschi, che lavoravano nel grande stabilimento di produzione bellica, specialmente carri armati, che si chiamava “Hermann Goering Werke” presso Linz, fra Mauthausen e Linz diciamo a cinque chilometri o forse di meno da Linz. E perciò forse perché Linz bombardavano continuamente e molto forte. Perché volevano distruggere questa… questa… questa fabbrica che c’erano moltissimi stranieri, era molto grande questa fabbrica qui. Era uno dei, dei, dei… stabilimenti molto importanti sul territorio tedesco di produzione bellica, ecco.
E con i prigionieri italiani li ho conosciuti appunto nel campo, perché erano nel campo dove dopo grandi bombardamenti, che siamo scappati dalla città perché non c’era più niente in mezzo… in mezzo a macerie e siamo andati lì dove sapevo che c’era anche mio marito e così siamo, ci siamo recati lì e quelli che son sopravvissuti. Io sono sopravvissuta perché nel tempo del bombardamento ero in viaggio, ecco questo mi ha salvato. Quando dovevo rientrare, e il treno naturalmente si è fermato a trenta, quaranta chilometri da Linz perché dopo tutta ferrovia, tutti i binari erano distrutti e allora ho fatto a piedi a arrivare a vedere cosa era successo, se trovavo qualcuno, ma non ho trovato più nessuno dei conoscenti o qualcosa, forse non sapevo non… fino adesso non so nemmeno se son morti o son scappati o cosa è successo perché era tutto distrutto. Allora sono andata sempre a piedi perché non c’era trasporti o qualche macchina, così militare magari ci dava qualche strappo vedendo che camminare per le strade e così, fino al campo dove a Lambach (Schwanenstadt) che c’era, per noi italiani, c’era lì mio marito che avevo conosciuto in precedenza. E… lì abbiamo aspettato fino al rimpatrio degli italiani dalla Germania del… del comando americano.

 

Sono stati rimpatriati dagli americani?

Sì, sì, sì, sì, sì.

 

Quando?

E’ iniziato nel campo dove eravamo noi perché l’Austria era più vicina, perciò hanno iniziato dall’Austria a rimpatriare stranieri. Ogni straniero andava diciamo con i camion militari perché ferrovie e binari erano distrutte in tutta… in tutta la Germania. Allora li portavano fino a un certo punto per esempio… francesi, civili diciamo civili non militari che dovevano, militari non lo so, francesi, ma i civili che lavoravano insieme con noi che dovevano tornare in Francia li raccoglievano in questi grandi campi americani, li, li… non si fidavano insomma, prendevano insomma, tutte le informazioni e poi formavano i gruppi e quando davano disposizione i loro mezzi di trasporto li portavano verso Francia o verso Polonia, o verso Italia, verso Cecoslovacchia, insomma… raggruppavano perché quando è finita la guerra tutti sparpagliati. Persone che erano, che lavoravano nei campi, che lavoravano negli stabilimenti che non avevano bombardato, tutti si raccoglievano dentro in questi campi diciamo più grandi, in queste baracche che erano campi per gli stranieri. E truppe americane, insomma lì c’erano addetti americani a questo servizio, per un po’ di tempo si stava lì in questi campi di raccolta. Quando formavano gruppi abbastanza grandi li accompagnavano alla frontiera col loro camion, per esempio se erano cittadini sovietici, diciamo, li… li raccoglievano e li portavano fino a Enns dove c’erano occupati dalle truppe sovietiche. Perché i sovietici hanno occupato Vienna e poi oltre Vienna. Allora americani li portavano fin là perché lì era come se fosse frontiera. Cecoslovacchi lo stesso li portavano, insomma… Jugoslavia lo stesso, insomma ogni nazione…

 

Gli italiani li portavano al Brennero?

Al Brennero sì. Fino… al Brennero poi a… a un certo punto c’era un pezzo di ferrovia che abbiamo fatto non so… perché son giorni che abbiamo impiegato per fare… poi siamo entrati da Innsbruck, Brennero, poi l’hanno… l’hanno portato… mi ricordo come adesso prima città italiana che ho visto era Modena. Era raccolta di tutti italiani che tornavano dalla Germania, li portavano a Modena nelle… come si chiama? A Modena c’è… c’è…

 

L’accademia militare?

Accademia, ecco! Molto bella. Molto bellissima. E… e lì erano tutti dislocati tutti… tutte persone in un camerone di questi grandissimi mi ricordo, con i materassi un po’ per terra sempre gestiti dagli americani, ci mettevano insomma… eravamo lì tutti a aspettare, poi ognuno dove doveva andarci…

 

Vi hanno fatto la disinfestazione?

No! No, no, no, no.

 

Interrogatori?

No, no, no. Niente. Niente e nessuno.

 

Quando rientrate in Italia?

In Italia siamo… ah ecco abbiamo… siamo arrivati a Modena giusto al ventinove giugno perché mio marito dice: “Hai visto, oggi è il mio onomastico!”; che è San Pietro. Questo me lo ricordo bene, eravamo a Modena. E poi anche lì organizzavano, sempre americani col loro trasporto militare, organizzavano, perché hanno censito tutti i militari che tornavano, chi con le mogli, chi senza, così hanno censito e poi formavano i gruppi. Chi doveva andar verso Brescia, chi doveva andare verso Napoli, chi doveva andar verso Roma e li spostavano con loro… cioè prigionieri, ex prigionieri italiani che tornavano reduci dalla… dalla… Germania. Ecco noi poi siamo arrivati a Brescia e di lì mio marito, che era bresciano, ha preso la corriera per andare al suo paese che è Borgo San Giacomo di Brescia… provincia di Brescia.

 

Mi racconti il matrimonio.

Beh… era molto un po’… finita la guerra naturalmente… tutti noi nel campo eravamo felici… quasi impazziti di gioia e sembrava… che non finisse mai e invece è finita, non dovevamo più lavorare, non dovevamo obbedire a nessuno, non avevamo più obblighi, gli americani insomma portavano dei generi alimentari, cucinavamo noi nel campo ogni nazionalità, diciamo per conto suo, cucinava quel che… secondo i propri gusti, che americani ci davano loro scatolette, poi patate, pasta, o farina che si faceva pasta e così, e… sembrava insomma una festa a non finire. Non è descrivibile a uno che non ha passato la guerra, non si può descrivere quando arriva la pace come si sente una persona. Naturalmente le persone che si sono conosciute durante gli anni di deportazione o durante i periodi molto… molto difficili, si è fatti… delle amicizie. Ma assolutamente non si può parlar d’amore perché in quelle condizioni quando qualcuno va affamato, stracciato, malnutrito e così l’ultima cosa a cui pensa è amore… è… amicizia forte. Nei campi, a dir la verità, c’erano molto più disponibili per amicizia e per protezione, italiani di qualsiasi altro straniero. Questo lo posso testimoniare proprio onestamente. Perché se francesi insomma… erano un po’ freddini, di proteggere o di aiutare altri stranieri, gli italiani invece erano più disposti, o forse dipende dal carattere delle persone come italiani, come popolazione, come nazione, come… non so. Fatto sta che c’era questa amicizia forte e quando è finita la guerra mio marito mi ha proposto di venire in Italia insieme con lui. Perché in quel periodo assolutamente io non volevo naturalmente venire in Italia perché non conoscevo l’Italia, volevo raggiungere… la mia famiglia, il mio stato, volevo vivere lì, ma assolutamente lui non avrebbe potuto in quel momento, nessuno poteva spostarsi da uno stato all’altro. Ognuno doveva tornare nel… nello stato di provenienza. In più dopo ho saputo, dopo molti anni, che anche i sovietici non avrebbero mai permesso, anche se ero sposata con un italiano, a un italiano di andare in Unione Sovietica. Andare come civile anche con la moglie ex sovietica. Dopo la morte di Stalin, moltissimi anni dopo, l’hanno permesso. Ma c’erano degli italiani di mia conoscenza, e li ho conosciuti in Italia dopo queste vicissitudini, perché quelli che sono andati negli anni sessanta, cinquantacinque più che sessanta, che hanno seguito, che le mogli han voluto andare in Unione Sovietica, le hanno seguite però senza sapere. Italiani han dovuto firmare, ma non potendo perché era scritto in russo, non… non avendo capito bene i documenti che firmavano, e han firmato i documenti in Italia che loro se volevano tornare, cioè andare insieme con la moglie che tornava nel proprio paese, dovevano rinunciare alla cittadinanza italiana se no non avrebbero potuto andare in Unione Sovietica. E loro han firmato questi documenti. E’ stato molto… molto difficile per loro, dopo, a viver lì perché hanno trovato naturalmente, non conoscendo l’Unione Sovietica, non conoscendo abitudini, non conoscendo lingua, non sapendo che clima è, per gli italiani impossibile, freddo e così specialmente nelle zone dove capitavano, non tutte zone sono fredde, ma però dove sono capitati certi italiani che ho conosciuto io personalmente, non sopportavano questo clima così. Quando volevano ritornare indietro con le loro mogli ex sovietici, quelli russi, ucraini che han sposato, non gli han permesso. Han dovuto poi… son dovuti passar molti anni dopo la morte di Stalin, che loro, attraverso ambasciata italiana, han potuto dimostrar che hanno firmato documenti che non sapevano leggere perché non erano tradotti in italiano e questo li ha salvati e han potuto ritornar in Italia perché lì non si sono adattati a viver per… per tante ragioni: per abitudini, per freddo, per… per tutto il resto insomma. E sono rientrati insieme con mogli indietro. Io e mio marito siamo rimasti sempre qui. Io vivo dal ‘45 in Italia, purtroppo mio marito è morto nel ‘71, in gennaio, e da allora son qui.
E così la mia… la mia… odissea diciamo, è tutta qui.

 

Dunque il matrimonio è stato fatto in Germania?

Sì. E’ interessante e un po’ comico anche. Perché ci hanno sposati con tanto di cappellano americano, forse… cioè lo stato… con leggi americane, con… perché loro che dirigevano il campo, zona… occupanti americani che hanno occupato questo campo e americani, forze armate americane, e hanno… hanno… cioè siamo sposati secondo le leggi che vigevano lì, insomma. Quando siamo rientrati in Italia abbiamo portato documenti che purtroppo ho perso, con tanto di documento rilasciato dalle autorità americane, confermato dalle autorità civili austriaci, che ci siamo sposati. In Italia, allora nel ‘45, volevano trascrivere questo matrimonio nel comune di provenienza di mio marito. Non è stato riconosciuto e per ragioni di lavoro lui dopo un po’ di tempo s’è trasferito sul milanese precisamente ad Abbiate Grasso in provincia di Milano e quando ha chiesto il suo… suo domicilio, sua… residenza da Borgo San Giacomo, dove è nato lui, dove viveva, la… lo trasferivano a… ad Abbiate Grasso, arrivato il suo… stato di famiglia che era iscritto, che ridevano, che insomma…… ridevano tutti in comune a Milano, e c’era scritto: “Sposato convivente con H. Ina”.
Il sindaco in persona ci ha chiamato e ha detto: “Ma scusate un po’, io non posso né considerarvi sposati, né considerarvi…… perché se è convivente la moglie non c’entra, se è moglie non è più convivente, cioè la moglie è convivente…”; ha detto a mio marito: “Ma che legge è nel tuo paese? Cos’è questa trascrizione? Io non la posso cambiare. Cosa facciamo?”. E mio marito dice: “Va bene prenderemo un avvocato, anche perché è un matrimonio valido, insomma, con tanto di timbri, con tanto di firme”. “E, ma qui firme americane non sono leggibili”; hanno detto.
La questione, dopo ho saputo, la questione qual’era: che siccome il paese, allora sul bresciano, in Veneto, nel bresciano, nel bergamasco non comandavano nel paese i sindaci, ma comandavano i prevosti cosiddetti, preti del… del paese. E siccome lì il prete, quando ha saputo che mio marito ha portato una senza Dio, tra virgolette, per loro non erano virgolette, le virgolette le metto io, perché non sapevano neanche cos’è il popolo e come è il popolo lì e cos’è il popolo. Non si può giudicare il popolo dal suo regime, dal suo governo. Perché il popolo è una cosa e governo è un’altra. E allora ha imposto mio marito a sposarsi in chiesa e io ho detto: “Io non ho niente contro la chiesa, però se questo matrimonio già stato benedetto da… da un prete cattolico che anche se è americano, dico è sempre cattolico e perché lo devo rifare?”; e questa… sì, ma per principio, dico, non mi faccio imporre. Siccome parlava molto bene in tedesco, allora io assolutamente non parlavo in italiano e non capivo che cosa stava succedendo, allora quando lui mi ha spiegato, questo prete mi ha spiegato di che cosa si trattava, io ho detto: “Vede, io ventiquattro ore fa ho finito di esser “Muss””; perché lui ha usato il termine “Muessen” vuol dire lei è obbligato… lei deve… perché “muss” in tedesco significa deve. “Deve venire a sposarsi in chiesa se no io non lo riconosco il suo matrimonio”. E io ho detto: “Ma lei non può riconoscere o non riconoscere, io ce l’ho qui e lei deve trascriverlo, cioè il sindaco deve trascriverlo”.
Insomma c’è stato questo disguido e naturalmente il sindaco vedendo al… al parroco del suo paese ha trascritto che ero la moglie convivente. Per no… perché non avevamo soldi e mio marito era disoccupato come reduce di guerra e naturalmente in quel periodo lì… e il sindaco ad Abbiate Grasso ci ha consigliato… perché soldi non ne avevamo: “Spender tanti soldi per far questa pratica del riconoscimento ufficiale, fate prima sposarvi una seconda volta che far tutta questa trafila”. Allora preparato documenti ci siamo risposati con mio marito una seconda volta civilmente in comune di Abbiate Grasso. E così il matrimonio, diciamo così questo riconoscimento di matrimonio da allora è valido a tutti gli effetti.

 

Quale è stato il suo impatto all’arrivo in Italia? Che difficoltà ha trovato?

Molto, molto, impatto… molto… è stato molto pesante si può dire.
Prima di tutto perché sono capitata in un paese molto… così… molto povero molto… ma non perché povero, perché anche chiuso per ignoranza delle persone non per colpa loro, ma per… per altre cose; che sapendo che io provenivo da Unione Sovietica, naturalmente ce l’avevano con me personalmente perché mi accusavano che per colpa di noi popolazione dell’Unione Sovietica che… i prigionieri, i poveri prigionieri italiani che non tornavano a casa. Naturalmente noi non avevamo nessuna colpa in quanto gli dicevo: “Ma non abbiamo invitato insomma là… a venire in casa nostra a bombardare, occupare, sono venuti loro”; dico: “Se venivano qui i russi a occupare il vostro paese cosa avresti detto? Gli avresti detto grazie? No. E allora bisogna aver pazienza e torneranno chi è rimasto vivo”. In ogni modo l’impatto per me è stato… è stato difficile. Prima di tutto povertà estrema, disoccupazione tremenda, senza aver possibilità di lavoro né… pensavo: “Beh, insomma siamo giovani, troviamo un lavoro, ci mettiamo a posto e non abbiamo bisogno di altro”.
Invece è stato molto difficile specialmente per me, per lavorare non conoscevo lingua, allora con mio marito anche riuscivamo molto bene a spiegarci a parlare in tedesco, perché la lingua ufficiale in Germania era quella che faceva capire tra tutti gli stranieri, era il tedesco naturalmente. E… perché ogni straniero ha la sua lingua e non si poteva imparare tutte le lingue.
E… ho dovuto, per imparar lingua da sola così. Alfabeto latino naturalmente lo conoscevo perché conoscevo il tedesco, ma non sapevo come leggere.
Le prime nozioni di saper come leggere una parola, che ci sono piccole regole, di certe sillabe che in tedesco si legge in un modo e in italiano in un altro, quando sono riuscita a capire un po’ i segni e qualcuno che parlava un po’ il tedesco, leggevo favole quelle che conoscevo già da bambina, perciò riuscivo a seguire, imparar parole e così in italiano seguivo il tram, diciamo, se una parola la indovinavo, tutto il resto, cioè capivo il resto indovinavo, così cercavo. Perché non esisteva assolutamente, né grammatiche, né tanto meno vocabolari, né… niente di niente, non russo e italiano, ma neanche italiano - tedesco neanche per gli stranieri. Non potevo a far… nessuno conoscevo che mi poteva spiegar grammatica italiana o insegnarmi insomma a parlare l’italiano. Insomma ho fatto molta fatica, a poco a poco poi conoscendo una persona, una insegnante elementare, ha iniziato a insegnami lingua italiana come se fossi in prima elementare e io dovevo trascrivere pagine e pagine di parole italiane e ripeterli al suono così come si pronuncia, perché io li pronunciavo alla maniera tedesca invece che in italiano. “Ghe” per esempio fa “gè”, e insomma bisogna metterci in mezzo l’ “h”, insomma tutte queste piccole cose. Non ho potuto… quando dopo due o tre anni iniziati già a essere in commercio grammatiche per stranieri, ma senza spiegazione.

 

Come erano i rapporti con le persone?

Beh, dipendeva dalle persone naturalmente. Non tutti sono uguali e… e dipendeva molto dalle persone… loro disposizione.

 

Voleva tornare in Unione Sovietica?

Beh… essendo qui in tremenda disoccupazione, quasi, quasi con mio marito abbiamo… così consigliandoci pensavamo di andare forse nel mio paese, nell’URSS ritornare. Però Unione Sovietica allora non accettava italiani, non so le altre nazionalità, non accettava italiani. Per quale ragione? Penso che sia perché italiani han combattuto in Russia, in Unione Sovietica. Mi facevano proposte di ritornar io, e poi dopo un po’ di tempo forse poteva raggiungermi mio marito. Naturalmente abbiamo deciso di non approfittare di questa cosa perché non volevamo assolutamente… perché non volevamo dividerci. Non si può dividersi e poi aspettare se forse lasciano arrivare anche lui. C’era tremenda disoccupazione, è stato però un anno… mio marito ha fatto… così lavoretti qua e là, senza casa si dormiva in una trattoria con pochi soldi, in un localino, si pagava così, tremendo. Poi lì ad Abbiate Grasso è stato organizzato un comitato così per aiutare un po’ i reduci che provenivano dalla guerra dalla Germania.

 

Questo a distanza di un anno?

No, no sempre lo stesso, nel ’45.

 

Quanti anni di guerra ha fatto suo marito?

Mio marito è stato…… cioè è andato… come si dice?

 

Chiamato di leva?

Leva ecco. Era di leva perché era soldato di leva del ’17, lui era. Ha fatto due anni… lì era artigliere di montagna a Genova. Poi quando è scoppiata breve guerra con la Francia ha partecipato a questa campagna su, sulle montagne di Ventimiglia. Poi è stato mandato in… in… Albania, dall’Albania in Grecia, e in Grecia, proprio l’otto settembre era in Grecia. Quando l’hanno… i tedeschi hanno preso prigionieri tutti gli italiani che erano in Grecia e li han trasportati attraverso la Jugoslavia, Bulgaria, Jugoslavia, poi hanno imbarcato sul Danubio su, sui traghetti e li han portati fino a Vienna. Allora perché li han promessi gli italiani si son lasciati disarmare. Anzi volentieri hanno buttato giù le armi perché i tedeschi han promesso: “Per voi guerra è finita, vi portiamo tutti a casa”; e siccome Badoglio, ha detto mio marito, ci ha detto: “La guerra è finita, difendetevi soltanto da chi vi attacca”. Siccome dice che i tedeschi non ci attaccavano, han detto che ci portavano a casa, noi, dice, questo fucile che avevamo l’abbiamo lasciato nella caserma. L’abbiamo capita quando si attraversava a piedi Jugoslavia che non ci portavano a casa, ma che portavano verso Danubio perché i partigiani in Jugoslavia l’han detto: “Guardate che vi stanno deportando in Germania come prigionieri di guerra”.
E allora qualche militare si è unito, scappato per non essere prigioniero di guerra dei tedeschi, si è unito, così me la raccontava mio marito, ai partigiani jugoslavi che dice: “Siamo più vicini all’Italia e dopo passo in Italia”; insomma.
E… quando è sorta la Repubblica di Salò, sono… arrivavano nei campi di prigionia degli italiani, certi italiani che… che gli proponevano se volevano rientrare in Italia… di partecipare alla repubblica di Salò. Allora i tedeschi domandavano: “Sei Badoglio o sei Mussolini?”. Mio marito mi ha raccontato che il novantacinque, novantotto percento di italiani che erano nei campi hanno tutti scelto Badoglio e non Mussolini tanto per intendersi che… hanno dovuto sopportare ancora tutta questa prigionia fino alla fine della guerra per non aver accettato di, di, di… di rientrare e combatter per Mussolini. E… e così quando è poi rientrato in Italia era già sposato con me e… c’era disoccupazione, c’era miseria, c’era… era molto difficile vivere e sopravvivere e tutti i lavori e lavoretti che riusciva a fare, così poco a poco…

 

Al suo rientro quindi non è stato aiutato dallo stato italiano?

Assolutamente no.

 

Non vi hanno dato delle opportunità di lavoro?

No. Soltanto che reduci erano talmente esasperati che a un certo punto, almeno qui al nord Italia, hanno imposto, proprio in certi posti si sono riuniti, e hanno detto ai rappresentanti del governo: “Se non ci aiutate a trovare qualche posto, qualche lavoro, qualche cosa”; perché ognuno, qualcuno aveva già le mogli i figli e qualcuno, erano pochissimi che non erano sposati che erano ancora giovani, tutto il resto avevano famiglie, avevano bisogno di lavorare. Hanno detto proprio così: “Se non ci aiutate noi prenderemo le armi e combattiamo come abbiamo combattuto fino adesso, per il posto lavoro con le armi”. Allora dopo questo, forse dopo questo, non lo so in ogni modo hanno istituito dei… dei comitati, che era… non so d’accordo con gli industriali italiani qui in nord Italia parlo di milanese, sul milanese, e… hanno istituito come comitati, che ogni… ogni industria doveva prendere almeno due reduci che tornavano dalla guerra presso quell’industria a lavorare.
Mio marito è stato preso in questo suo lavoro.. quando trovato nello stabilimento ad Abbiate Grasso di… uno stabilimento vetreria, proprio con questa imposizione di… assumere reduci. In quel… in questo stabilimento hanno assunto due perché tutti i reduci sa come facevano? Andavano nelle Camere del Lavoro, facevano delle… dei, dei, dei… scrivevano il proprio nome poi li facevano arrotolare, mettevano tutto in un cestino, chiamavano un ragazzino che passava per la strada di tirare a sorteggio. Il primo nome, il secondo nome che tirava, se era a richiesta di due posti di lavoro, tirava così chi a sorteggio perché tutti avevano bisogno, tutti… e tutti i giorni erano lì vicino alla Camera del Lavoro ad aspettare se qualcuno gli dava questo lavoro.

 

Camera del Lavoro di Milano?

Di Abbiategrasso. Mio marito è stato fortunato che il suo nome è stato tolto con questo “busciolotto” come lui diceva parlando in dialetto. Quando è ritornato tutto… tutto euforico gridava: “C’ho il posto di lavoro!”. Era già il mese di giugno del ‘46. Vuol dire, essendo ritornato… un anno dopo. E’ stato disoccupato, ha fatto dei lavoretti immaginabili e possibili. Miserie però… la guerra era finita, e questo era importante, e c’era tanta miseria, tanta disoccupazione, tanta distruzione, e purtroppo le persone insomma… così han dovuto adattarsi e sono stati fortunati quelli che avevano il posto di lavoro e da allora almeno si poteva… si poteva un pochino andare avanti.

 

Lei si è inserita nella vita civile italiana. C’è stato il passaggio dalla monarchia alla repubblica e le elezioni del ’48 che costituiscono un punto di rottura del quadro politico italiano in due blocchi contrapposti. Lei che veniva dall’Unione Sovietica come ha vissuto questi avvenimenti?

Sì, sì, sì. Naturalmente è stata una campagna come si dice, all’ultimo sangue, campagna elettorale. C’erano dei manifesti, che forse ci sono ancora qualche manifesto nelle… presso istituti storici qualche cosa, che dipingevano i militari dell’Armata rossa con quei cappelli lì a punta come erano nella rivoluzione che appartenevano poi diciamo all’armata Rossa poi passata insomma ai guerriglieri, partigiani quando c’è stata la rivoluzione. Li dipingevano come se fossero animali del bosco, insomma erano orribili da guardare e questo dimostra come era sprovveduta la popolazione italiana che non sapevano niente, la maggioranza della popolazione italiana. Né cos’è Unione Sovietica, né cos’è la Russia. Prima di tutto quando io dicevo che io sono nata in Unione Sovietica: “No in Unione Sovietica, in Russia!”. E non parlo delle persone, parlo degli impiegati di stato civile. In tanti documenti c’è scritto, ancora quelli iniziali i documenti: “In Russia”. Quando io dicevo che geograficamente non esiste Russia, è una delle nazioni della repubblica dell’Unione Sovietica. “Io sono nata in Unione Sovietica e mi scrivete URSS!”; “No è la Russia e basta!”. Si sono rifiutati per esempio perché erano quasi tutti provenienti dal fascio e… amministrazione perché son tornati al loro posto di lavoro.
Va beh, non ha importanza non è da… per dire che l’accoglienza, specialmente nella propaganda, allora propaganda politica, la popolazione che non sapeva niente della Russia, dell’Unione Sovietica soltanto sapeva che erano nemici perché non lasciavano tornare i prigionieri italiani in Italia e se la prendevano anche con persone come me che han dovuto subire anche dai tedeschi tre anni di… di deportazione che non c’entrava niente con… perché gli italiani non tornavano… i prigionieri italiani non tornavano dalla Russia. Era tremenda la propaganda, ma in ogni modo avevo mio marito che mi proteggeva e mi difendeva naturalmente non ero sola e non dovevo combattere sola, perché mi proteggeva moltissimo e non lasciava troppo, specialmente in sua presenza, offendermi o… qualche cosa così.
Nel ’46 ho partecipato al referendum monarchia o repubblica, ‘47 è stato, abbiamo festeggiato molto la costituzione italiana, me lo ricordo come se fosse ieri, che ero orgogliosa anch’io se non c’entravo niente. In ogni modo la costituzione c’era e ce l’ho ancora adesso, il libro della costituzione italiana che mi piace ogni tanto guardar qualche articolo o qualche cosa, ce l’ho in casa, e… nel ‘48 sono state le prime elezioni politiche che erano tremende. Naturalmente molto combattute, molto sentite, si facevano comizi allora tutti in piazza e non c’era televisione e nemmeno per radio, e si andava volentieri a ascoltare tutti, tutti quanti.
E… e così ho seguito tutte le votazioni politiche come amministrative, ho partecipato diciamo a… e mi sento partecipe a tutti gli avvenimenti italiani perché mi considero seconda patria, anzi tutta la mia vita l’ho vissuta qui e… mio figlio è nato qui: è un italiano, perciò mi trovo bene in Italia. Naturalmente ho nostalgia, moltissima nostalgia della mia patria di dove sono nata, della mia città. E’ rimasta in vita ancora una sorella che ho lì e vari parenti. Ogni tanto ci vado a trovarli, qualche volta li sento al telefono. Ecco è tutta qui l’odissea.

 

Grazie, veramente.