|  MILITARI ITALIANI INTERNATI
 
 1. L'Armistizio tra l'Italia e le Potenze Alleate, l'8 settembre 1943, 
        ha fatto nascere, da parte tedesca, le prime forme di ostilità, manifestatesi 
        nel rastrellamento e cattura dei militari italiani, precedentemente considerati 
        alleati, in tutte le aree europee ed extraeuropee sottoposte al controllo 
        dell'occupazione tedesca. Il rastrellamento e la cattura costituiscono 
        elementi storici oggettivi che non necessitano di alcun'altra considerazione 
        o dimostrazione.
 Diversamente può dirsi del trattamento riservato a questi militari, dalla 
        cui connotazione dipende in parte la qualifica che ad essi è stata data 
        nel corso della restante parte della guerra e quella che essi avrebbero 
        dovuto ottenere sulla base del diritto internazionale.
 Va, comunque, precisato che la firma dell'armistizio da parte del Maresciallo 
        Badoglio non ha determinato immediatamente una situazione di "aperta ostilità" 
        tra l'Italia rimasta fedele al re e la Germania hitleriana per due ordini 
        di motivi:
 1) il Maresciallo Badoglio inviò, a nome del re, alla Germania la dichiarazione 
        di guerra a Madrid il 13 ottobre 1943 tramite l'Ambasciatore de' Calboli, 
        quindi, oltre un mese dopo l'armistizio (1);
 2) l'Italia non fu mai dichiarata formalmente "alleata" delle Grandi Potenze, 
        ma divenne cobelligerante a partire dalla stessa data: qualifica che consentì 
        ad alcuni reparti dell'esercito regolare di modesta entità di partecipare 
        alla guerra a fianco degli Alleati.
 
 2. Per quanto concerne la qualifica dei militari italiani rastrellati 
        e catturati dai Tedeschi nelle aree da questi occupate è certo che essi 
        dopo il 13.X.1943 avrebbero dovuto essere dichiarati prigionieri di guerra 
        e trattati come tali dalla Germania. Pertanto, essendo sia l'Italia sia 
        la Germania parti contraenti della Convenzione di Ginevra dal 27 luglio 
        1929 sui prigionieri di guerra, essi avrebbero avuto diritto al trattamento 
        previsto da tale Convenzione (2), in particolare per quanto concerne il 
        loro utilizzo per il lavoro. Ciò non è accaduto per una serie di motivi 
        e con le modalità che qui si esporranno: con il risultato che queste persone 
        hanno dovuto svolgere coattivamente il lavoro nei Lager, senza poter godere 
        di alcuna garanzia internazionale, compresa l'assistenza della Croce Rossa 
        internazionale, e di altri enti, vivendo spesso in condizioni subumane 
        come risulta da varie testimonianze ed essendo la loro vita minacciata 
        dai tedeschi ove non si fossero attenute alle disposizioni da questi impartite.
 Va precisato che, già dopo l'arresto di Mussolini, avvenuto il 25.7.1943 
        su ordine del re, la Germania valutò l'atteggiamento da assumere nei confronti 
        dei militari italiani, come risulta dall'ordine del Comando Supremo della 
        Wehrmacht del 28.VII.1943 (3), cui seguì un altro ordine dell'8.IX.1943 
        dello stesso Comando nel quale si parlava di internamento (4). Tuttavia 
        una direttiva dello stesso Comando, datata 9 settembre, precisava che 
        i militari italiani sarebbero stati considerati prigionieri di guerra: 
        espressione ripetuta nella "direttiva di massima per il trattamento degli 
        appartenenti alle Forze Armate e alla Milizia", del 15.IX.1943 del Comando 
        Supremo della Wehrmacht con riferimento agli italiani disarmati e non 
        disposti ad aderire alla RSI - Repubblica Sociale Italiana ed a continuare 
        la guerra accanto ai tedeschi, nella quale si precisava che per ordine 
        di Hitler "i prigionieri di guerra italiani dovevano essere indicati come 
        "Internati Militari Italiani" (5): cambiamento che risulta anche da un 
        carteggio successivo (20 novembre 1943) tra il comandante Bachmann ed 
        il rappresentante della Croce Rossa Internazionale(6) e che era stato 
        notificato a Mussolini per ordine di Hitler il 1.10.1943 (7). La necessità, 
        puramente politica, di informare Mussolini, liberato il 12 settembre dalla 
        prigionia da parte di paracadutisti delle S.S., si fondava sulla circostanza 
        che egli il 18.IX aveva creato a Salò la Repubblica Sociale Italiana, 
        fedele alleata della Germania.
 Occorre premettere, prima di determinare le conseguenze connesse con questa 
        nuova denominazione, che il termine di "internato militare" ricorre nel 
        diritto internazionale solo con riferimento ai militari di uno Stato belligerante 
        che si trovino sul territorio, inteso in senso lato, di uno Stato neutrale 
        (8).
 Quindi la stessa denominazione non si addiceva, sotto il profilo giuridico, 
        ai militari italiani rastrellati e catturati dai tedeschi. E' probabile 
        che il ricorso ad una denominazione così impropria, cui corrispondeva 
        uno "status" particolare(i cui estremi sono qui di seguito indicati), 
        sia derivata da una serie di ragioni desumibili da carteggi: 1) placare 
        le preoccupazioni di Mussolini facendogli intendere che i militari italiani 
        non venivano considerati "nemici" e ciò avrebbe accresciuto il suo personale 
        prestigio internazionale; 2) consentire al Duce di offrire alla Germania 
        queste persone come lavoratori da adibire, senza alcuna tutela, nelle 
        varie industrie e nell'agricoltura, depauperate della forza lavoro tedesca 
        utilizzata in guerra.
 La valutazione qui data al cambiamento di denominazione non si fonda però 
        su dati obiettivi ed è destinata a restare su un piano teorico se è vero 
        che l'Ambasciatore Rahn fu incaricato di avvisare "con la dovuta forma" 
        il Duce circa l'ordine impartito dal Führer in merito al cambiamento di 
        denominazione che collocava definitivamente i Militari italiani al di 
        fuori della sfera di applicazione della citata Convenzione di Ginevra 
        e degli accordi internazionali in materia (9).
 D'altra parte dal carteggio dell'Archivio Politico del MAE di Berlino 
        (20 novembre 1943) risulta che gli italiani "non erano considerati prigionieri 
        di guerra" (10).
 Con riferimento alla posizione di questi militari, occorre certamente 
        ricorrere ai principi del diritto internazionale, in base ai quali, per 
        determinare se un fatto o un evento debba ricondursi o meno ad una data 
        categoria giuridica, devono considerarsi tutti gli elementi concreti che 
        lo formano o che gli sono attinenti per decidere se il fatto rientri o 
        meno nella categoria giuridica in ipotesi considerata o in un'altra.
 Ora la vasta documentazione, che include moltissime testimonianze dirette 
        (11) dimostra che certamente, anche a prescindere dalla semplice denominazione 
        formale, i militari italiani non furono trattati dalla Germania né come 
        appartenenti a Forze militari alleate, né come prigionieri di guerra, 
        ma in prevalenza furono adibiti coattivamente a lavori pesanti e pericolosi.
 In effetti il loro lavoro si svolgeva secondo le modalità della schiavitù 
        e della coartazione che prevedono "il dominio dell'uomo sull'uomo": quindi 
        l'impossibilità di scelta e la completa sottomissione ad altri.
 D'altra parte il Comando Supremo della Wehrmacht ha emanato il 21 Aprile 
        1944 un'ordinanza, il cui testo è custodito dalla Commissione per i crimini 
        di guerra in Polonia, secondo cui la condizione degli IMI è nettamente 
        diversa da quella dei prigionieri di guerra di qualsiasi nazionalità (inclusi 
        i militari italiani catturati in corso di operazioni con le truppe alleate 
        dopo l'8 settembre 1943), spettando ai primi "alloggi e posti di lavoro 
        meno favorevoli" (12).
 Tutti questi documenti costituiscono una riprova della condizione nella 
        quale fin dal 20 settembre 1943 si trovavano gli IMI. Pertanto deve considerarsi 
        irrilevante l'accordo del 20 luglio 1944 tra Mussolini ed Hitler, diretto 
        a sottoporre gli IMI sotto il diretto controllo del Servizio civile di 
        lavoro sottraendoli all'Amministrazione della Wehrmacht (13).
 Tale passaggio prevedeva un'apposita dichiarazione (14) da parte di ogni 
        internato, estorta in molti casi con la forza o addirittura sottoscritta 
        direttamente da componenti della Gestapo (15) alla quale alla fine si 
        rinunciò (vedi documenti allegati alla nota 17). In effetti, a prescindere 
        da queste formalità amministrative, gli IMI vivevano in una situazione 
        di schiavitù, comprovata anche dal contenuto di una "carta di permesso" 
        che prevedeva l'immediata fucilazione del Militare italiano internato 
        ove si fosse trovato in una delle zone della morte senza tale carta (16).
 Come seguito del citato incontro tra Mussolini ed Hitler, il 12 agosto 
        si ebbe la ordinanza del Führer che comportava la formale trasformazione 
        degli IMI in lavoratori civili e tale trasformazione viene ribadita in 
        ulteriori documenti (17).
 
 3. Circa l'accordo da ultimo citato, deve osservarsi che esso nella realtà 
        non modificava sostanzialmente lo status degli IMI se non sotto l'aspetto 
        organizzativo, restando la loro situazione la stessa, nonostante alcune 
        concessioni propagandistiche, quindi più apparenti che reali, dettate 
        dalla blanda volontà politica di non fare sfigurare il Duce.
 Sotto il profilo del diritto internazionale, inoltre, tale accordo era 
        concluso da un organo privo di competenza internazionale, essendo il Duce 
        capo della Repubblica Sociale Italiana e non organo di tutta l'Italia 
        (18); laddove i militari internati provenivano da tutte le regioni italiane 
        e quindi non solo da quelle sottoposte al controllo della RSI ed erano 
        stati catturati anche prima della creazione di tale repubblica (vedi lettera 
        del Col. Comandante del Campo Francesco Imbriani al Comando tedesco del 
        27.VII.1944) (19).
 
 Ciò consente di affermare in conclusione:
 1) che a partire dal 20 settembre 1943 e senza soluzione di continuità 
        gli IMI hanno svolto un lavoro coatto e non quello cui i prigionieri di 
        guerra potevano essere adibiti sulla base della citata Convenzione di 
        Ginevra;
 2) che, il trattamento riservato dalla Germania agli IMI era contrario 
        agli "usi di guerra" allora vigenti, il cui fondamento giuridico era da 
        ricercarsi non solo nella consuetudine internazionale, ma anche nel diritto 
        naturale;
 3) che, anche in assenza di norme convenzionali in materia di internati, 
        secondo l'opinione di un illustre giurista dell'epoca, Dionisio Anzilotti, 
        giudice alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, Caposcuola 
        della Scuola Romana di diritto internazionale, le norme in materia di 
        trattamento di prigionieri di guerra e affini e di feriti costituivano 
        un insieme di norme inderogabili, destinate a rappresentare il primo nucleo 
        delle norme di jus cogens, contemplate dalla Convenzione di Vienna del 
        1969 sul diritto dei trattati agli articoli 53 e 64.
 
 4. Le considerazioni precedenti indicano con chiarezza come i militari 
        italiani, con il pretesto apparente di essere destinatari di un miglior 
        trattamento da parte del governo tedesco rispetto a quello garantito ai 
        militari catturati, appartenenti alle Forze armate di altri Stati, siano 
        stati invece sottoposti nella maggior parte dei casi ad innumerevoli soprusi 
        ed offese della loro dignità di persone e di militari, in violazione delle 
        convenzioni di L'Aja del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre e di Ginevra 
        del 1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra (articoli 27-34), firmata 
        dalla Germania il 27 luglio 1929 e da questa ratificata il 21 febbraio 
        1934 e sottoscritta dall'Italia il 27 luglio 1929 e ratificata il 24 marzo 
        1931.
 In particolare secondo la Convenzione citata da ultima i prigionieri di 
        guerra validi possono essere impiegati come lavoratori a seconda del loro 
        grado e delle loro attitudini, fatta eccezione per gli ufficiali ed assimilati 
        sempre che tali prestazioni d'opera non abbiano alcun rapporto diretto 
        con le operazioni militari.
 A ciò aggiungasi che essi possono essere internati in campi cintati, cioè 
        di concentramento, ma non possono essere rinchiusi se non per ragioni 
        di sicurezza e di igiene e solo temporaneamente finché permangano le circostanze 
        che hanno determinato tali misure (art. 9). Inoltre i prigionieri di guerra 
        sono autorizzati a designare fiduciari incaricati di rappresentarli presso 
        la potenza cattrice e le potenze protettrici; nei campi di ufficiali ed 
        assimilati è l'ufficiale prigioniero di guerra più anziano nel grado più 
        elevato che è riconosciuto come intermediario tra le Autorità del campo 
        e gli ufficiali e assimilati prigionieri.
 Le osservazioni che precedono giustificano il convincimento per il quale 
        gli IMI sono stati fatti oggetto di innumerevoli e multiformi ingiustizie 
        in conseguenza delle quali, al termine della seconda guerra mondiale sarebbero 
        dovute loro spettare forme di riparazione, concordate - così come prevede 
        il diritto internazionale - tra la Germania e l'Italia sulla base di un 
        accordo. La divisione della Germania ha impedito che ciò avvenisse in 
        tempi brevi e la ricostituzione di essa a Stato unitario consente che 
        oggi possa guardarsi al passato con maggiore equilibrio e serenità avendo 
        superato i parossismi della guerra e della disfatta, ma anche con maggiore 
        comprensione verso quanti, convinti di adempiere un dovere, si sono visti 
        privare di quei benefici, a quell'epoca anche minimi, che il cammino della 
        civiltà garantisce a coloro che combattono in guerra.
 La "memoria" cioè il ricordo del passato congiunta al superamento di un 
        periodo storico-politico doloroso e alla scelta definitivamente democratica 
        e fondata sulla legalità della quale la Germania oggi rappresenta un emblema 
        in Europa, inducono la Germania stessa ad un processo di revisione e di 
        assunzione di responsabilità che non può non concorrere a rinsaldare la 
        sua posizione nell'ambito dell'Unione europea ed a migliorare i rapporti 
        di "buon vicinato", come anche il Presidente Rau ha più volte ricordato 
        in discorsi Ufficiali ed in dichiarazioni più o meno formali (20).
 In questo percorso il riferimento ai principii ed alle norme di diritto 
        internazionale in materia di responsabilità può essere particolarmente 
        opportuno: specialmente a quelle norme le quali comportano che l'obbligo 
        principale per uno Stato di non compiere un fatto illecito si trasformi 
        in un'obbligazione secondaria diretta a rendere positivo nella maggiore 
        estensione possibile il risultato dell'azione compiuta dallo Stato autore 
        dell'illecito.
 Purtroppo fino ad oggi il Governo tedesco non ha preso alcun provvedimento 
        favorevole espressamente per la categoria degli IMI. Tra l'altro non vale 
        rilevare che l'art. 77 del Trattato di pace con l'Italia del 10.2.1947 
        contiene una rinuncia da parte dell'Italia, anche a nome dei suoi cittadini, 
        a far valere contro la Germania diritti che non siano stati regolati alla 
        data dell'8 maggio 1945, salve alcune espresse eccezioni. In proposito 
        occorre rilevare che: 1) l'art. 77 concerne essenzialmente il diritto 
        di proprietà (e relativo risarcimento) su beni immobili situati in Germania, 
        nonché i danni subiti da tali beni durante la guerra; 2) la situazione 
        delle relazioni italo-germaniche sono profondamente cambiate dal 1947 
        ad oggi e che la stessa Germania ha subito molti mutamenti; 3) che la 
        Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (art. 62) non 
        include i trattati di pace nella categoria di trattati ai quali non si 
        applica la clausola "rebus sic stantibus"; con il risultato che il mutamento 
        delle circostanze può incidere sensibilmente sull'applicazione ed esecuzione 
        di tali trattati.
 D'altra parte l'accordo di Bonn del 2.6.1961, concluso dall'Italia con 
        la Repubblica Federale di Germania, ha previsto indennizzi a favore dei 
        cittadini italiani "colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste" 
        per ragioni di "razza, fede o ideologia" e che a causa di tali misure 
        abbiano sofferto "privazioni di libertà o danni alla salute, nonché a 
        favore dei superstiti di coloro che sono deceduti a causa di queste persecuzioni".
 Con riferimento a quest'accordo occorre rilevare che: 1) gli IMI non rientrano 
        nelle categorie di persone menzionate dall'accordo stesso, perché essi 
        sono stati catturati in quanto appartenenti alle Forze armate italiane 
        e, quindi, per motivi politico-militari, non espressamente menzionati 
        nell'accordo stesso; 2) la liberatoria a favore della Repubblica Federale 
        di Germania (con incluso il Land di Berlino), prevista dall'art. 3 dell'accordo 
        e ribadita nello scambio di note tra l'ambasciatore Quaroni ed il ministro 
        degli Affari esteri della RFT Karl Carstens non riguarda gli IMI proprio 
        per le ragioni esposte al punto 1. In effetti la liberatoria concerne 
        le pretese relative alle questioni formanti oggetto dell'Accordo che da 
        questo vengono regolate in via definitiva, non quindi le pretese al risarcimento 
        fondate su motivi diversi da quelli contemplati nell'Accordo stesso.
 
 5. Nell'ottica fin qui considerata non può non ritenersi particolarmente 
        meritoria e conforme alle norme di diritto internazionale in materia di 
        responsabilità l'iniziativa assunta dalla Germania, anche a seguito della 
        Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 gennaio 1986, Doc. B2-1475/85, 
        (21), di emanare una legge per la Costituzione di una Fondazione intitolata 
        "Memoria, responsabilità e futuro", fondazione avente lo scopo di rendere 
        in qualche modo giustizia a quanti dallo Stato nazista o dalle imprese 
        private, durante la seconda guerra mondiale sono stati sottoposti a lavoro 
        coatto e ridotti in condizioni di schiavitù attraverso deportazione, prigionia, 
        sfruttamento fino all'annientamento da lavoro e sono state vittime di 
        altre innumerevoli violazioni dei diritti umani.
 La legge del 12 agosto 2000 riguardante, come si è accennato "memoria 
        responsabilità e futuro" menziona al par. 2, n. 1 che la Fondazione si 
        prefigge, attraverso la collaborazione di organizzazioni di partenariato, 
        di mettere a disposizione fondi di finanziamento per la concessione di 
        prestazioni agli ex-lavoratori forzati ed a quanti sono stati colpiti 
        da altre ingiustizie nel periodo del nazionalsocialismo.
 Ora la definizione contenuta nella legge riguardante i lavoratori destinatari 
        del risarcimento da essa previsto ed aventi titolo ad ottenere quanto 
        la stessa legge prevede non può non includere la categoria degli IMI, 
        i quali - come più volte si è accennato - sono stati in molti casi sottoposti 
        a forme di vessazione lesive della dignità umana, oltre che di quella 
        derivante dall'appartenenza alle Forze Armate.
 Una volta negato loro lo "status" di prigionieri di guerra, come è avvenuto 
        su richiesta del Führer, per essi è caduta l'esclusione prevista dal par. 
        11, n. 3, concernente la prigionia di guerra condizione alla quale la 
        legge in parola non attribuisce titolo al risarcimento. Ne consegue al 
        contrario che per gli IMI permane tale titolarità ove essi rispondano 
        alle condizioni previste al par. 1, sottoparagrafi 1, 2 e 3 dello stesso 
        art. 11 e non siano deceduti prima del febbraio 99, vale a dire: 1) siano 
        stati arrestati e costretti al lavoro in un campo di concentramento nel 
        senso previsto dal par. 42, comma 2 della legge federale sul risarcimento 
        o in un'altra prigione al di fuori del territorio dell'attuale Repubblica 
        austriaca, oppure in un ghetto in condizioni equipollenti (comparabili); 
        2) siano stati deportati dal paese di origine nel territorio del Reich 
        secondo i confini di questo Stato quali risultavano nel 1937 oppure in 
        uno dei territori occupati dal Reich e costretti al lavoro sia in un'impresa 
        industriale sia nel settore pubblico e tenuti prigionieri o in condizioni 
        di vita particolarmente cattive paragonabili a quelle di una prigione.
 E' chiaro, con riferimento alla norma in oggetto che il termine "Heimatstaat" 
        va interpretato in senso ampio in quanto gli IMI, militari smilitarizzati, 
        solo in parte si trovavano in Italia, dove comunque furono catturati, 
        essendo una parte di essi impiegata dallo Stato italiano, allora ancora 
        unitario, all'estero proprio per la difesa della Patria.
 D'altra parte in favore dell'interpretazione estensiva della norma gioca 
        la penultima parte del par. 11, là dove si precisa che "le organizzazioni 
        partners possono... concedere delle prestazioni anche alle vittime dei 
        provvedimenti di ingiustizia nazionalsocialista che non appartengano ai 
        gruppi di casi citati nel capoverso 1, nn. 1 e 2, in particolare ai lavoratori 
        coatti nel settore agricolo".
 Alle conclusioni qui accennate si perviene anche sulla base dell'interpretazione 
        del par. 12, dedicato alle "Definizioni" per il quale sono considerati 
        elementi distintivi della prigionia le condizioni di detenzione inumane, 
        l'alimentazione insufficiente e la mancanza di assistenza medica: carenze 
        delle quali - come si è visto anche attraverso le testimonianze, i documenti 
        della Croce Rossa Internazionale e il decesso di decine di migliaia di 
        internati militari - gli IMI spesso si sono lamentati e sono stati vittime.
 Lo stesso par. 12 provvede a definire le imprese tedesche come quelle 
        che avevano od hanno la sede nel territorio del Reich secondo i confini 
        del 1937 oppure nella Repubblica Federale tedesca o vi avevano la casa 
        madre. Sono considerate tali anche le imprese con sedi principali all'estero 
        e quelle che, pur essendo collocate fuori dei confini del Reich, rapportati 
        al 1937, nel periodo tra il 30.1.1933 e l'entrata in vigore della legge 
        considerata, contemplavano direttamente o indirettamente, una partecipazione 
        di almeno il 25%.
 Si può dunque concludere che, ai sensi della legge in esame, gli IMI, 
        i quali hanno adempiuto alle formalità previste dalla legge, hanno titolo 
        giuridico all'ottenimento del risarcimento da questa previsto.
 
 
 
 
 Maria Rita Saulle
 Prof. Ord. di diritto internazionale
 Università di Roma La Sapienza
 
 Note
 
 1) Per quanto riguarda la dichiarazione di guerra citata nel testo che, 
        secondo alcuni storici, non sarebbe stata accettata dal governo tedesco 
        deve precisarsi che:
 a) il diritto internazionale procede sempre sulla base della valutazione 
        delle situazioni oggettive ed effettive, per la quale lo stato di guerra 
        si determina per mezzo di fatti ostili concludenti es. occupazione di 
        territori, invasioni, ecc. più che attraverso formali dichiarazioni. Ciò 
        appare evidente anche dal tenore della convenzione de L'Aja del 18 ottobre 
        1907 relativa all'apertura delle ostilità, la quale - senza escludere 
        la possibilità di aprire le ostilità in modo diverso - obbliga le parti 
        contraenti, e solo quelle, a dare inizio alle ostilità solo dopo un ultimatum 
        con dichiarazione di guerra condizionata o dopo una dichiarazione di guerra 
        motivata. La Germania ha firmato tale convenzione il 18 ottobre 1907 e 
        l'ha ratificata il 27 novembre 1909; l'Italia ha firmato tale convenzione 
        nel 1907, ma non l'ha ratificata.
 b) Una certa confusione permane in merito alla eventualità che la dichiarazione 
        di guerra inviata da Badoglio sia stata o meno accettata dal governo tedesco. 
        La possibilità che tale dichiarazione sia stata rifiutata avvalora la 
        tesi sostenuta da chi scrive e da altri per la quale il governo tedesco 
        conosceva il contenuto della dichiarazione stessa e che quindi esso era 
        al corrente dell'intenzione delle forze militari italiane di non collaborare 
        ulteriormente con quelle tedesche, considerate ormai nemiche.
 C)Non si può dimenticare, infine, che nel corso della seconda guerra mondiale, 
        come del resto sia precedentemente sia successivamente, lo stato di guerra 
        è stato creato anche senza una formale dichiarazione, bensì sulla base 
        dell'inizio delle ostilità non precedute da alcun ultimatum e/o dichiarazione 
        motivata [Vedi il programma di Hitler in 16 punti del 30 agosto 1939 che 
        comprendeva l'annessione di Danzica, l'Auschluss della Polonia (1° sett.), 
        l'attacco dei Giapponesi a Pearl Harbour ecc.].
 
 2) Cfr. il testo della Convenzione in Schindler/Joman Droit des Conflits 
        armés, Genève 1996, Comité international de la Croix-Rouge et Institut 
        Henry-Dunant, p. 415 ss. La Convenzione citata nel testo regola le condizioni 
        dei prigionieri di guerra dal momento della loro cattura a quello della 
        liberazione includendo una serie di obblighi da parte della potenza detentrice 
        e correlativi diritti a vantaggio dei prigionieri. In particolare l'art. 
        27 concerne il lavoro dei prigionieri prevedendo in favore di questi varie 
        garanzie.
 Del resto la materia in oggetto risultava già disciplinata da norme internazionali 
        consuetudinarie, formanti il "diritto di guerra", costituito ad un tempo 
        da "usi" in senso stretto e da convenzioni e consistente in una delle 
        parti fondative, insieme con il diritto dei trattati, del diritto internazionale 
        pubblico.
 A questo proposito non può non osservarsi che proprio la II convenzione 
        de L'Aja del 1899 sulle "leggi e gli usi della guerra terrestre" e la 
        IV convenzione de L'Aja del 18 ottobre 1907, avente pari titolo, contemplano 
        nei rispettivi Regolamenti allegati entrambe all'art. 4 ss. la condizione 
        dei prigionieri di guerra e all'art. 6 espressamente il loro lavoro. Da 
        ciò discende la constatazione che, essendo la normativa citata, diretta 
        a codificare il diritto internazionale precedente, quest'ultimo aveva 
        carattere generale, obbligando, quindi, la generalità degli Stati esistenti 
        a quel tempo, indipendentemente dalla loro eventuale partecipazione ad 
        accordi internazionali.
 
 3) Cfr. Kriegstagebuch des Oberkommandos der Wehrmacht, Band III: 1. Januar 
        1943 - 31. Dezember 1943, pag. 850.
 
 4) Cfr. Archivio dell'Istituto di Storia Contemporanea di Monaco, MA 240, 
        55518735-737; OKW/WFSt/Qu Nr.662242/43 g.kdos. Chefs., F.H.Qu.,den 8.9.1943. 
        vedi: Gerhard Schreiber, Lo statuto dei militari italiani deportati nei 
        lager di prigionia della Germania nazista,. In: Rassegna dell'Anrp, nn.9/10-2000, 
        pp.12-13.
 
 5) Vedi allegato 5.
 
 6) Vedi allegato 6.
 
 7) Cfr. Archivio Politico Ministero esteri di Berlino, Büro Staatsekretar, 
        Akten betr. Italien, vol. 17: 1.10.1943 Sonderzug n. 1564 Bram 420/R/43. 
        (Fonte Schreiber citato.)
 
 8) Il termine di "internati" ricorre, nel significato precisato nel testo, 
        nel citato Regolamento annesso alla convenzione de L'Aja concernente le 
        leggi e gli usi in materia di guerra terrestre del 1899 all'art. 57 ss.
 
 9) Vedi sopra nota 7.
 
 10) Vedi sopra nota 6.
 
 11) Cfr. per tutti C. Lops, Albori della Nuova Europa, Litostampa Nomentana, 
        Roma, 1965, pp.494-504.
 
 12) Vedi allegato 12.
 
 13) Vedi allegato 13.
 
 14) Vedi allegato 14.
 
 15) Vedi allegato 15.
 
 16)da: Carmelo Conte, Prigionieri senza tutela, Giuffrè ed., Milano, 1970, 
        pp. 52-53.
 
 17) Vedi allegato 17.
 
 
 18) Alle considerazioni sulla posizione del Duce, quale capo della Repubblica 
        di Salò, accennate nel testo, deve aggiungersi l'osservazione per la quale 
        non vi fu successione di Stati tra il Regno d'Italia e tale Repubblica, 
        non solo per la diversa entità territoriale tra quella della Repubblica 
        ed il precedente Regno, il quale - pur con le particolarità derivanti 
        dall'essere su un territorio più ridotto e sottoposto ad occupazione degli 
        anglo-americani - ha continuato la sua esistenza nel Regno del Sud Italia. 
        Pertanto gli obblighi ed i diritti, anche quelli concernenti la tutela 
        dei cittadini italiani, facenti capo al Regno d'Italia non avrebbero potuto 
        trasmettersi a Mussolini quale capo del governo o dello Stato della Repubblica 
        Sociale Italiana.
 
 19) Vedi allegato 19.
 
 20) Vedi allegato 20.
 
 21) vedi allegato 21. (Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, 17.2.86, 
        N.C. 36/129).
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