|   “DEPORTATI IN PATRIA” 
              di Claudio Sommaruga  
             Subito dopo la dichiarazione di guerra del Regno 
              d’Italia al Reich, la Repubblica Sociale costituì, 
              nell’ottobre 1943, le “4 divisioni di Graziani” 
              e chiamò alle armi, col “bando Graziani”, i militari 
              italiani sbandati dopo l’8 settembre e non catturati dai tedeschi, 
              tutti gli abili alle armi e in particolare i ragazzi delle classi 
              ’23, ’24, ’25 e ’26, col ricatto di rappresaglie 
              ai parenti, fucilazione o dieci anni di carcere! 
              E’ significativa, tra le rare, la testimonianza di A. Sulfaro 
              (in Archivio ANRP e “Archivio IMI” (di C. Sommaruga)), 
              riguardante 2000 alpini rastrellati dopo l’ 8 settembre 1943, 
              tra i quali vari AUC del LXII° Btg Alpini di Merano e che vennero 
              inquadrati coi “gladi” repubblichini nel 4° Alpini 
              della Caserma Testafochi di Aosta. Ma pochi giorni dopo, la Wehrmacht 
              occupò la caserma e dopo schedatura degli Alpini ”con 
              piastrina”, nel campo di smistamento della Bicocca di Milano 
              e dopo alcune evasioni, le SS li deportano, coi “gladi” 
              al bavero, la fame e “trasporto piombato”, in Germania, 
              dove la massa si rifiutò di optare! !  
              Un’altra pagina di storia misconosciuta, riguarda i renitenti 
              e i ritardatari della “leva Graziani” che non avevano 
              potuto raggiungere i partigiani in montagna, imboscarsi o internarsi 
              in Svizzera. In questi ragazzi, per lo più ideologicamente 
              e politicamente immaturi, perché cresciuti nel clima fascista, 
              la renitenza era spesso dovuta a stati emotivi e a sentimenti etici. 
              Delle 180.000 reclute previste se ne presentarono ai distretti solo 
              87.000 e in pochi giorni ne disertarono più di 10.000! Una 
              buona parte dei renitenti e disertori incrementò le formazioni 
              partigiane, ma 4000 o 5000 coscritti, rastrellati o ritardatari, 
              vennero coatti, in punizione, in ”battaglioni di disciplina” 
              del Genio Lavoratori, della R.S.I., con ufficiali repubblichini 
              controllo di sotto ufficiali tedeschi! 
              Ritenuti indegni di addestramento alle armi e di fregiarsi coi “gladi” 
              repubblichini, questi reprobi dovettero indossare, in dispregio, 
              le vecchie divise grigio verdi con le ”stellette”, proprie 
              dei badogliani e furono impiegati dapprima in Italia e poi, dal 
              febbraio-giugno del ’44, in Germania. Qui non furono associati 
              agli IMI, ma inquadrati come “ausiliari” nei battaglioni 
              di ”lavoratori militarizzati” (Bau-Btl al seguito della 
              Wehrmacht), frammisti anche ai volontari e con uno status indefinito 
              simile a quello dei 21.000 KGF italiani senza tutele, catturati 
              con le armi nella prima resistenza delle Ionie, Egeo, Grecia, Balcani 
              e della “difesa di Roma”. 
               
              Tra le rare testimonianze reperite, è emblematica e puntuale, 
              quella del “sottosoldato” Pier Luigi Facchin, come si 
              definisce, pubblicata dopo mezzo secolo di avvilimento e rimozioni 
              (cfr. P.L. Facchin, Sottosoldato. Deportato in patria, ed. Bressa, 
              Brescia, 1995, pp. 93). 
              Nato a Verona nel 1924, il Facchin era già stato condannato, 
              nel 1939, agli ”arresti domenicali in cella” per rifiuto 
              di servizio militare. Precettato nell’ottobre 1943 dalla R.S.I. 
              e imboscato per quasi quattro mesi, come operaio civile, all’Arsenale 
              (militare) di Venezia, fu arrestato ed inquadrato, in grigio verde, 
              senza mostrine e “gladi” ma con le “stellette”, 
              nel 136° Regg. Genio Lavoratori, “di rigore” (Feldpost 
              38733, poi 80979) e “indegno di portare le armi, servirà 
              la patria con piccone e badile”. Così, dal febbraio 
              1944, lavorerà a Orvieto, come un deportato, nelle retrovie 
              del fronte, ma, per sua fortuna, eviterà il trasferimento 
              in Germania, con una trafila d’ospedali, “coi gladi 
              in tasca e le stellette al bavero”, fino alla liberazione, 
              il 26 aprile 1945, rifiutandosi però di unirsi ai “partigiani 
              dell’ultima ora”. Nel dopoguerra si dedicherà 
              con abnegazione alla scuola e non parlerà per mezzo secolo 
              del suo passato timosso! 
              Altri renitenti, già inquadrati in Italia nei battaglioni 
              di lavoratori, mi confermarono di essere stati trasferiti in Germania 
              anch’essi con le “stellette”. Alla fine del ‘44 
              fu concessa anche a loro la facoltà di “optare” 
              e di fregiarsi coi gladi, come gli ”ausiliari” repubblichini. 
              Diversi aderirono per fame, ma conservando le stellette in tasca, 
              con queste rimpatrieranno, nell’autunno 1945, frammisti agli 
              ex IMI lavoratori. Ma, a guerra finita, non avendo ricevuto addestramento 
              alle armi, dovranno prestare un secondo servizio militare, dal quale 
              Facchin fu eccezionalmente esonerato nel 1952. 
              “Deportati in patria!”: confusi coi “badogliani” 
              dai fascisti e coi “ragazzi di Salò” dagli antifascisti, 
              nel dopoguerra saranno ripudiati da tutti, ignorati da tutti e offesi 
              dallo Stato col dovere ripetere ingiustamente il servizio militare 
              come i “ragazzi di Salò” e dal non riconoscimento 
              aimbolico del loro comportamento!  
              Per giustizia, avrebbero dovuto essere stralciati dalle statistiche 
              dei combattenti delle FF.AA. di Salò e considerati “patrioti” 
              della guerra di liberazione come noi, IMI, KGF e deportati dell’ 
              “altra resistenza”!  
             
             
             
             
             
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